Data di nascita

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Periodo di riferimento

1221

Data della morte

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Cosa si sa

Nel 1221, Genova decide di affidare definitivamente il compito di conquista e definitiva sottomissione di Ventimiglia alla Repubblica genovese, al comandante mercenario, di origine bresciana, Lotaringo di Martinengo. Dopo una lunga e aspra lotta, nella quale la città subì continui bombardamenti dalle alture di San Giacomo, Maure e Siestro e l'impaludamento del porto-canale alla foce del Roia, Ventimiglia fu conquistata, diventando per la Repubblica, un'importante base strategica fortificata di frontiera.

La famiglia Giudici viene spesso nominata nei documenti che parlano di questo assedio e di come i ventimigliesi costruirono fuori dalle mura una “città nuova”.

Documenti

Vari riferimenti all'assedio di Ventimiglia del 1221 e alla famiglia Giudici.

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AssedioSull'assedio di Ventimiglia1221
CittàSulla nuova città1221
IudexSugli Iudex citati1221

Sull'assedio di Ventimiglia

1221

Assediati dai genovesi i ventimigliesi continuano disperatamente a resistere. Allora il Martinengo devia il corso del Roja per sottrarre l'acqua agli assediati e affonda nel porto fluviale alcune grosse navi da carico piene di macigni e calcina, rendendolo inutilizzabile per sempre. I genovesi costruiscono anche un grosso molo di sbarramento alla foce del fiume, due fortezze sul monte S. Cristoforo che domina la città e, in un tempo straordinariamente breve, innalzano anche un possente bastione contromuro tutto intorno alla città assediata. Con l'aiuto di manganelli e trabucchi (artiglieria da lancio a tiro curvo) i genovesi battono in continuazione gli edifici oltre le mura, provocando gravissimi danni a case e monumenti, inclusa la cattedrale. Dopo l'arrivo di ingente truppa fresca, ovvero 2000 fanti al comando di Sorleone Pepe, il podestà Martinengo chiude ermeticamente l'assedio.

…[omissis]… preterea erexit ibi duos manganellos et duos trabucos in ipso exercito fabricatos, qui ingenti mole lapidum ac suis formidandis ictibus civitatem illam adeo conquassarunt et in ruynam vergenterunt, quod si eorum gravamine a principio previssum esset et cognitum, tot ibi ad eius destrictionem creassent, quod Victimilienses, licet nolent, denique civitatem in suis manibus tradissent. Insuper copatum unum plenum lapidibus et muratum ante fucem Victimilii pro ipsa claudenda demersit. Pontones quoque de Ianua ibi ductos ad faciendam sepem lapideam ibi fecit per dies quam plurimos laborare, quorum duo im plagia que est infra civitatem et Caput sancti Ampelii, temporis sevitia naufragantur. Post hec autem in monti sancti Cristofori duo castra, et inferius iuxta mare quandam civitatem construxit miris ac robustis muris vallatam. In opere quorum cum tam nobiles quam mediocres iugiter insudarent, ipsum in tam brevi temporis spacio compleverunt, quod non posse credi Romanam civitate vel imperium perfecisse.

Caffaro e cont.ri,
«Annales Ianuenses», Vol. II, 1174-1224,
a cura di C. Imperiale di Sant'Angelo,
Tip. dei Lincei, Roma 1901
pag. 176.

Traduzione (di Dario de Judicibus):
…[omissis]… inoltre, egli eresse là due mangani e due trabucchi fabbricati nell'esercito stesso, i quali, con una enorme massa di pietre e i loro formidabili colpi, scossero così intensamente quella città e la fecero crollare, che se dal principio avessero previsto e conosciuto il loro peso, ne avrebbero costruite abbastanza per distruggerla, e i Ventimigliesi, anche se non lo avessero voluto, alla fine avrebbero consegnato la città nelle loro mani. Inoltre, fece affondare un'imbarcazione piena di pietre e murata davanti al porto di Ventimiglia per chiuderlo. Lavorando per molti giorni per costruire una barriera di pietra, fece anche portare dei pontoni da Genova, due dei quali affondarono a causa delle intemperie nella zona fra la parte bassa della città e Capo San Ampelio. Successivamente, sul monte San Cristoforo, costruì due accampamenti, e più in basso, vicino al mare, eresse una città fortificata con mura straordinarie e robuste. Mentre le opere alle quali sia i nobili che le persone comuni lavorarono incessantemente, essi le completarono in uno spazio così breve di tempo da non far credere che la stessa Roma avrebbe mai potuto realizzare qualcosa di simile in termini di costruzione di città o imperi.

Dalla città affamata e in rovina fuggono molti abitanti che, prostrati in ginocchio ai piedi del Martinengo, chiedono e ottengono il perdono. Tra questi vi sono parecchi de' Giudici: il Caffaro e il Gioffredo raccontano come alcuni di loro abbiano poi collaborato attivamente alle operazioni di assedio e agli attacchi contro la loro stessa gente.

…[omissis]… unde adeo penuria et necessitate compulsi fuerunt, quod major pars ipsorum edes proprias dimiserunt, ac pedibus Ianuensis prostrati, habitaculum civitatis nove ceperunt, offensionem et guerram ceteri facientes. Inter quos Iudices nobiles Victimilienses cives venerunt sua sponte potius quam volunctate coacta, qui pre ceteris fideles comuni Ianue usquequo extiterunt rebelles, et de eorum adventu a comunitate Victimili dampnum non modicum substulerunt.

Ibidem,
pag. 177.

Traduzione (di Dario de Judicibus):
…[omissis]… di conseguenza, furono costretti dalla grave penuria e dalle necessità, così che la maggior parte di loro abbandonò le proprie case, si prostrarono ai piedi dei Genovesi e presero residenza nella nuova città, causando discordia e guerra con gli altri. Tra questi, i nobili Ventimigliesi della famiglia Giudici vennero spontaneamente come cittadini, piuttosto che per volontà coatta, e rispetto agli altri furono fedeli al comune di Genova fino a quando non diventarono ribelli, causando non pochi danni alla comunità di Ventimiglia con la loro presenza."

La cosa non deve stupire dato che, come efficace misura di pressione psicologica, i genovesi costringono tutti gli scampati, con le loro donne, i vecchi e i bambini, a restare nei baraccamenti militari sorti a ridosso del bastione, dove finiscono con il subire anch'essi le reazioni dei loro concittadini agli attacchi dei genovesi.

Girolamo Rossi,
«Storia della Città di Ventimiglia
dalle sue origini sino ai nostri tempi»,
Torino, 1839, Tip. Cerutti, Derossi e Dusso,
pag. 59-60.

Sulla nuova città

1221

E, come se tanti danni non bastassero, dopo di aver eretti due castelli sul vicino monte di S. Cristoforo, prese a costrurre in vicinanza del mare una nuova città per opporla alla ruinosa e cadente. Nobili e plebei si diedero a lavorarvi con tanto ardore, che in breve tempo si vide attorniata da fortissime mura e piena di comode abitazioni, capaci di contenere, oltre molto popolo, duemila combattenti lasciativi dal podestà sotto gli ordini di Sorleone Pepe. …[omissis]… 2.


2 I Giudici furono fra i primi ad accorrere nella nuova città, ed Ogerio Pane scrive: «Inter quos Judices nobiles vintimilienses cives venerunt sua sponte potius, quam volantate coacta, qui praecaeteris fideles Communi Januae exiterunt, et de eorum adventu a Communitate Vintimilii damnum non modicum austuterunt.»

Girolamo Rossi,
«Storia della Città di Ventimiglia
dalle sue origini sino ai nostri tempi»,
Torino, 1839, Tip. Cerutti, Derossi e Dusso,
pag. 70-71.

Così avea termine uno frai più ostinati e gloriosi assedii che si incontrino nella storia ligure, per cui il Foglietta ebbe a scrivere: «che niun popolo della riviera di Liguria fu più renitente a ubbidire ai Genovesi che quello di Ventimiglia.» Causa di grandissimo dolore per ogni anima generosa sarà il sepolcrale silenzio che gli annalisti genovesi serbano dei Ventimigliesi, che a quei giorni meritarono bene della loro terra natale; mentre non sono nominati ad onore che i soli Giudici, i quali portarono in trionfo l’infamia di averla tradita, combattuta e venduta. Sciagurato chi fa segno a privati interessi i rancori il paese natio! Infelice! Tutti i partiti muoiono, tutte le passioni si spengono; sola rimane la storia inesorabile con chi abbandonò il sentiero del giusto e del buono.

Ibidem,
pag. 73-74.

Sugli Iudex citati

1221

Il territorio che si estendeva ultra pontem era adibito, e lo rimase ancora per alcuni secoli, prevalentemente a pascolo; a riprova di ciò, troviamo nel XIII secolo — localizzato in quel sito — il toponimo Pascherio. In questo luogo Pascherio dove già dalla fine del secolo XII si ha menzione di un’antica chiesa dedicata a San Simeone, ed ancora dove, nel 1258, veniva data l’autorizzazione a « … hedificare domum o hedìfìcìum facete ad tuam voluntatem quantumcumque magnum voluerìs sìve parvum et in ipso hedifìcìo faeere possis molendina et paratoria … »1 — i Genovesi, durante l’assedio del 1221, costruirono una vera e propria città. Ecco a questo proposito due testimonianze (la prima proviene da fonte locale, mentre la seconda è genovese):

« I genovesi videndo la larghezza dell’assedio e deliberati in ogni modo di espugnare la città, empirono la foce del fiume Roia con farne un braccio per diversione di detto fiume, e lo tirarono sotto al monte Siestro, ed alla foce di esso fabricarono un borgo, tirando un muro sopra tutto l’estremo capo del monte, detto S. Cristoforo, per empirlo di case, e chiamarlo Vintimiglia nuova, concedendo molte immunnità ed indulti a chi andasse ad abitarvi. Molti furtivamente andarono ed in particolare la famiglia Giudici … »2.


1 Ecco la trascrizione parziale dell’atto notarile nel quale si rinviene la notizia: Ego Raimundus Iudex, filius quondam Petri Iudicis de Vintimilio, do licenciam et auctoritatem tibi Rainaldo Bulferio, filio quondam Rainaldi Bulferii de Vintimilio … concedo quod ubicumque volueris a civitate Vintimilii et a terra Sancti Michaelis usque Roeam, in Pascherio ultra pontem vel citra, possis hedificare domum sive hedificium facere ad tuam voluntatem, quantumcumque magnum volueris sive parvum, et in ipso hedificio possis facere molendina et paratoria quotcumque volueris ...; cfr, A.S.G., cartol. 56 cit., c. 56 v. (nello stesso cartolario, a c. 58 r. e a c. 67 r., troviamo due atti della stessa natura). Secondo il Rossi (Glossario cit., parte IIa, p. 52), i paratoria erano edifici dove si stendevano i panni; invece, con tutta probabilità — e lo si può ipotizzare dal tipo di edificio (il quale doveva essere costruito sulla riva del fiume) — i paratoria erano strutture in legno, simili ai pontili, utilizzati per l’attracco delle imbarcazioni. Si veda a questo proposito — nel glossario sopracitato, a p. 74 — il termine parata, il cui significato è: riparo, fatto nei fiumi e torrenti con pali; ed ancora, il termine paratus: trave unto di sevo, che si sottopone alla chiglia delle barche, quando si vogliono varare o tirare a secco.
2 Cfr. Raccolta di notìzie varie cit., c. 142.

Giuseppe Palmero,
«Ventimiglia medievale: topografia e insediamento urbano»,
in
Atti della Società Ligure di Storia Patria,
Nuova Serie XXXIV, (CVIII) FASC. II,
Genova — MCMXCIV,
pagg. 29-30.