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Regioni, città e paesi relativi alla famiglia o al ramo familiare qui trattato.

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Regione Campania
OggiRegione CampaniaLa Campania oggi
Solofra (AV)
OggiSolofraSolofra oggi
AnticaSolofraDalla preistoria all'epoca romana
MedioevoSolofraSolofra mediovale
Rinasc.SolofraSolofra rinascimentale
ModernaSolofraEtà contemporanea
Casali (AV)
StoriaCasaliI Casali di Solofra
CaSolofraCasaliIl casale di Caposolofra
SorboCasaliIl casale del Sorbo
BalsamiCasaliIl casale Balsami
FornaCasaliIl casale Forna
ToCuCaCasaliToppolo-Cupa-Capopiazza
SAngeloCasaliS. Angelo e Strada vecchia
VolpiCasaliIl casale Volpi
FrattaCasaliIl casale Fratta
ToroCasaliIl casale Toro
SASolofraCasaliIl casale di S. Agata di Solofra
SASerinoCasaliIl casale di S. Agata di Serino
Regione Puglia
OggiRegione PugliaLa Puglia oggi
PreistoriaRegione PugliaLa Puglia nella Preistoria
DauniRegione PugliaDauni, Peuceti e Messapi
RomaniRegione PugliaLa Puglia nel periodo Romano
BizantiniRegione PugliaOstrogoti, Bizantini e Longobardi
SaraceniRegione PugliaSaraceni e Bizantini
NormanniRegione PugliaI Normanni e la Contea di Puglia
RegnoRegione PugliaIl Regno di Sicilia
SveviRegione PugliaLa Puglia e gli Svevi
AragonesiRegione PugliaAragonesi, Veneziani e Spagnoli
NovecentoRegione PugliaIl Novecento e le Guerre Mondiali
DopoguerraRegione PugliaLa Puglia nel Dopoguerra
Celenza Valfortone (FG)
Celenza ValfortoneCelenza oggi
Celenza ValfortoneDalle origini all'era moderna
Carlantino (FG)
OggiCarlantinoCarlantino oggi
StoriaCarlantinoDalle origini all'era moderna
Isola di San Pietro
DopoguerraSan PietroL'isola di San Pietro nel dopoguerra

Regione Campania

La Campania oggi

Stemma della Regione Campania
Stemma della Regione Campania

La Campania è bagnata ad ovest dal Mar Tirreno e confina a nord-ovest con il Lazio, a nord con il Molise, a nord-est con la Puglia e ad est con la Basilicata. Il capoluogo di regione è Napoli. Le altre provincie sono: Avellino, Benevento, Caserta e Salerno.

Campania
Campania

La Campania ha 5.701.931 abitanti (2001) e ha la più alta densità di popolazione tra le regioni italiane oltre ad essere la seconda, dopo la Lombardia, per numero totale di abitanti. Per il 51% è collinare, per il 34% montuosa e per il 15% pianeggiante.

Solofra

Solofra oggi

Stemma del comune di Solofra
Stemma del comune di Solofra

Solofra è un comune italiano di 12.503 abitanti, il quarto per popolazione della provincia di Avellino (AV), in Campania. È uno dei quattro principali poli italiani per la lavorazione delle pelli. Il santo patrono della città è San Michele Arcangelo. Solofra si estende in una conca dei Monti Picentini a 400 mt sopra il livello del mare aperta, attraverso Montoro, sulla piana di Mercato San Severino, un vitale nodo della Pianura campana che fa da collegamento tra il bacino dell'Irno e quello del Sarno. Questa posizione geografica ha giovato alla cittadina favorendone l'attuale realtà economica.

Panorama di Solofra
Panorama di Solofra

Il toponimo “Solofra” potrebbe trarre le sue origini dal dialetto Osco (facies Sannitica), in uso presso i coloni Romani che ne abitavano il territorio. La radice etimologica, Salufer (in latino Saluber), starebbe ad indicare la salubrità e l'ospitalità del luogo. Secondo altri studi il termine Solofra sarebbe nato dall'incrocio di due termini latini: Sol (Sole) ed Ofra (Offerta), da cui “Offerta al Sole”. Con questa teoria si fa dunque riferimento al culto del Sole, che veniva probabilmente praticato dalla popolazione solofrana al tempo dei Romani.

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Solofra

Dalla preistoria all'epoca romana

La conca solofrana, per le sue caratteristiche favorevoli, fu abitata fin dalla preistoria, più precisamente dall'Età del bronzo, da villaggi di pastori appenninici. A testimonianza di ciò, nel 1976 sono stati trovati dei reperti presso la località Passatoia, nelle vicinanze del torrente Rialbo, consistenti in due capanni contenenti vasi con motivi decorativi tipici della cultura appenninica, degli utensili in selce, delle fusarole e delle macine in basalto.

Il primo vero insediamento nella valle, però, fu quello dei Sanniti, che si stanziarono costruendo un villaggio in essa, di cui sono state trovate tracce di abitazioni nell'area pedemontana. Il vero insediamento, però, doveva essere situato presso l’odierno rione Toro sottano. A suggerire ciò è il toponimo, infatti il toro era un animale sacro ai Sanniti, in particolare ai Pentri. Oltre all'abitato urbano realizzarono una vasta necropoli, sulla collina della Starza, (non lontano dal rione Toro) di cui sono giunte ai nostri giorni diverse tombe realizzate per ospitare dei guerrieri. La presenza di questo popolo è attestata, inoltre, da diversi toponimi di origine naturalistica, alcuni rimandanti anche a culti italici. Primo fra tutti il toponimo Solofra, già descritto sopra, poi i toponimi Sorbo, i monti Mai, il Melito, i Volpi e via dicendo.

Dopo le guerre sannitiche il territorio irpino, in particolare di Solofra, divenne parte della Repubblica Romana. Con la riforma agraria dei Gracchi, molte terre irpine furono date ai cittadini romani. In seguito, quando il dittatore Lucio Cornelio Silla vinse nella guerra civile contro Mario, assegnò molte di queste terre ai militari, fondando la colonia Veneria Abellinatium, che includeva anche il territorio di Solofra. Essi si stanziarono anche nella valle, soprattutto nella parte bassa, dove costruirono diverse villae rusticae, sorte nei pressi della via antiqua qui vadit ad sanctae Agathae, una via romana che collegava Salerno ad Avellino passando per Castelluccia. In totale è attestata la presenza di 14 villae, delle quali sono stati ritrovati resti. La villa più importante che è stata ritrovata è quella di Tofola, di età imperiale, presso la frazione di Sant'Agata. In essa sono state ritrovate anfore vinarie, torchi e pareti ad opus spicatum e Opus incertum. Oltre alle ville, i romani costruirono una necropoli nelle vicinanze dell'odierno ponte di S. Nicola, della quale sono state ritrovate alcune tombe alla cappuccina.

Con Alessandro Severo la colonia si ampliò e portò dall'oriente il culto del Sol Invictus (aggiunse, inoltre, alla colonia l'appellativo Alexandriana. Nel territorio di Solofra, fin da questo periodo si impiantò in loco la concia delle pelli. Molti antichi toponimi Vellizzano, Campo del lontro, Scorza, Cantarelle, Burrelli testimoniano la presenza di questa attività originariamente legata alla pastorizia. Un'altra attività presente al tempo dei Romani fu quella delle fornaci per laterizi, pavimenti e recipienti: esse trovarono naturale collocamento nell'odierna zona di Campopiano, sempre vicino alla via consolare, in quanto c'era, e c'è, abbondanza di acqua e argilla. Infatti questa attività è resistita fino al secolo scorso, nello stesso luogo. Altri toponimi che rimandano al periodo romano sono: Taverna dei pioppi, luogo di sosta lungo la via, Sferracavallo, per lo sforzo subito dai cavalli per la salita.

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Solofra

Solofra mediovale

Dopo la caduta dell'Impero Romano, la situazione di instabilità e di pericolo per via delle incursioni barbariche, specialmente durante il periodo della Guerra greco-gotica, portò gli abitanti della fertilissima valle a trasferirsi più a monte, in posti dove le caratteristiche morfologiche della valle consentivano il controllo e gli abitanti erano più protetti. In generale, lo sviluppo di Solofra nell'Alto Medioevo fu proprio favorito dalla protezione della conca: la strettoia di Chiusa di Montoro era l'unico accesso, facilmente controllabile dai numerosi punti di controllo, come Castelluccia, o, in seguito, il Castello). Grazie a questo controllo, e quindi a questa sicurezza, si formarono due arroccamenti: le Cortine del Cerro, protette dalla collina di Chiancarola e le Cortine di Sant'Agata, protette da Castelluccia.

Questi nuovi insediamenti riprendevano come tipologia abitativa le villae di campagna della valle, delle curtes, in piccolo, che avevano la peculiarità di essere praticamente inespugnabili, chiudendo l’unico accesso. Un ruolo fondamentale fu svolto dal Cristianesimo, che fin da subito si introdusse nel Meridione, e rappresentò una certezza per gli abitanti, trovatisi di fronte ad una continua insicurezza. Solofra, d’ora in poi si avvicinerà sempre di più a Salerno, (città emergente, che dal dominio bizantino in poi si afferma come ricca potenza mercantile e costiera) diventando amministrativamente parte del suo entroterra, sia per l’appartenenza al medesimo bacino vallivo, sia perché Abellinum era stata distrutta.

Il vescovo di Salerno istituisce dei distretti pievani, quattro, in tutta la parte interna del territorio. Uno di questo fu Solofra. Lo scopo era portare un’aggregazione, una sorta di istituzione locale che sopperisse alla mancanza di uno stato. La pieve, infatti chiesa del popolo, era il luogo dove si svolgeva il battesimo e il seppellimento dei morti. Essa, inizialmente, era dedicata a Santa Maria, poi, con la venuta dei Longobardi, promotori del culto a San Michele Arcangelo, fu aggiunta la seconda denominazione alla pieve.

Nel frattempo la città di Salerno crebbe sempre di più, per il commercio e l’artigianato, tanto che ad un certo punto si staccò dal Ducato (Divisio Ducatus Beneventani), e si formarono due principati: quello di Benevento e di Salerno. Solofra entrò a far parte di quest’ultimo, essendo ancora inserita nel Gastaldato di Rota (Mercato San Severino). Il confine di quest’ultimo, e quindi del principato salernitano, passava per i monti di Montoro, di Forino, per Aiello e per Serino, (nel punto in cui oggi sorge San Michele di Serino), dove vi era una stazione per i pellegrini diretti al santuario micheliano del Gargano. Il territorio di Solofra, quindi, acquisì un ruolo fondamentale, di confine, insieme a Montoro e Serino, motivo per il quale nacquero diverse fortificazioni, tra cui il castello solofrano, probabilmente ancora piccoli presidi militari che successivamente avranno maggiore sviluppo.

Successivamente i Normanni guidati da Roberto Il Guiscardo, effettuarono delle vere e proprie incursioni nella zona, quando conquistarono il Principato di Salerno, debole ed in crisi. Queste incursioni causarono molti danni, l’accesso alla valle solofrana venne precluso da un impaludamento dovuto all’abbandono e allo straripamento del torrente, e di conseguenza venne abbandonata anche la via romana che valicava la Castelluccia. Ristabilitasi la situazione politica, Solofra entrò a far parte della provincia del Ducato di Puglia e Calabria denominata “Principato e Terra Beneventana” e in particolare della Contea di Rota, al cui capo fu posto Troisio, combattente del Guiscardo che aveva svolto un ruolo fondamentale nella conquista della zona. Il primo periodo normanno fu critico, a causa degli ingenti tributi che la popolazione doveva versare, cosa che bloccò i floridi scambi commerciali che si erano venuti a creare tra Solofra (ma non solo) e Salerno. Anche la chiesa salernitana riformò l’ordinamento pievano, non più in grado di controllare efficacemente il territorio, trasformandolo in parrocchiale, e creando 13 distretti diocesani: la vecchia pieve faceva parte dell’Arcipresbiterato di Serino, con la chiesa di Sant’Agata e le nuove Sant’Andrea e Santa Croce, costruite proprio in quel periodo. Alla morte di Troisio, la Contea passò al figlio Ruggiero I, che diede inizio alla dinastia dei Sanseverino. Egli fu un buon governante, affidò le terre della contea alla protezione dell’Abbazia di Cava, che aveva ottenuto il porto di Vietri. Nacquero così nuovi importanti scambi commerciali, in cui anche Solofra fu coinvolta: i proprietari terrieri e molte “apoteche” di concia delle pelli si affidavano all’Abbazia, che mediava e garantiva gli scambi con Vietri. Fu quindi un periodo di rinascita dell’economia di Solofra. Ruggiero divise la contea tenendo per sé e suo figlio Enrico il territorio che comprendeva Rota ed arrivava fino a Montoro, mentre assegnò la parte della contea che comprendeva Serino, Solofra e Sant’Agata (ovvero i territori dell’Arcipresbiterato) a suo figlio Roberto. Quest’ultimo morì presto, e suo figlio, Roberto II, era troppo giovane per governare e quindi fu retto da Sarracena, sua madre.

Successivamente Serino (con Solofra e Sant’Agata) passò a Ruggiero II. Egli assegnò Solofra, diventata vico, quindi autonoma, a suo figlio Giordano, che però morì presto. Allora la comunità solofrana, per non tornare sotto il controllo di Serino, rivolse una richiesta all’imperatore Federico II di mantenere la propria autonomia entrando a far parte del demanio imperiale, che però fu rifiutata, dato che era stata già concessa a Montoro. Allora il territorio tornò a Giacomo Tricarico, ma egli affidò il vico di Solofra a sua figlia Giordana, ottenendo comunque un’indipendenza territoriale. Solofra divenne quindi un’universitas feudale autonoma, che emanò i suoi statuti e che aveva una propria curia.

Con l’avvento degli Angioini a Napoli il feudo di Solofra venne ulteriormente ampliato, il re Carlo I D’Angiò, per i meriti militari di Arduino Filangieri, marito di Giordana Tricarico, assegnò un terzo del territorio di Sant’Agata, appartenente a Serino, a Solofra. Quindi Sant’Agata di sopra (Sant’Andrea Apostolo) e il castello entrarono a far parte del feudo. Fu un momento importante, in quanto, con questa acquisizione, Solofra comincia ad assumere la fisionomia attuale, e può contare su un punto fortificato che precedentemente era soggetto a Serino. Infatti il castello subì diversi ampliamenti e modifiche, soprattutto il lato che volgeva al valico di Turci, che ora costituiva il confine, e che doveva essere controllato (infatti fu istituita anche una dogana. Bisogna considerare, inoltre, in questo periodo, un forte aumento demografico, dovuto ad immigrazioni di persone provenienti da territori di guerra, specialmente dal Cilento.

Un altro importante momento di crescita si ebbe dopo Riccardo Filangieri (figlio di Arduino e Giordana), che morì presto e lasciò la reggenza a sua moglie Francesca Marra, perché i figli, tra cui Filippo, a cui spettava Solofra, non avevano ancora l’età per governare. Fondamentale fu il matrimonio della Marra con un De Ruggiero di Salerno, elemento che favorì l’introduzione di borghesi salernitani nella società artigiano-mercantile di Solofra, e di conseguenza, nuove occasioni di sviluppo per quest’ultima.

Raggiunta la maggiore età, Filippo Filangieri acquisisce il feudo di Solofra: il suo fu un ottimo governo, in quanto liberò gli abitanti dal servizio gratuito da prestare alla corte e continuò a tessere rapporti con Salerno. Inoltre, a sostegno del commercio e con l’aiuto della famiglia De Ruggiero, promosse la costruzione del monastero di Sant’Agostino, e la conseguente ristrutturazione viaria che portò a formare la conformazione visibile ancora oggi del centro. Dopo la morte di Filippo, a governare fu il figlio Giacomo Antonio e dopo di lui Giacomo Nicola. Quest’ultimo muore senza eredi, ponendo fine al governo dei Filangieri.

Il re Ladislao I di Napoli, per risolvere il problema di successione, reintegrò i feudi dei Filangieri al demanio, quindi anche Solofra. In questo clima il conte di Montoro Francesco Zurlo occupò il castello con la forza, e il tentativo da parte di Filippo Filangieri (detto il prete), zio di Giacomo Nicola, di assediare il castello fu bloccato dalla regina Giovana II. Anche lo Zurlo doveva abbandonare il feudo, ma riuscì a porvi una persona di sua fiducia, dato che era entrato nella contesa di successione avendo fatto sposare suo figlio ad una Filangieri. Così, poiché anche gli altri feudi erano stati assegnati ai Caracciolo, imparentati con i Filangieri, lo Zurlo acquisì il feudo di Solofra.

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Solofra

Solofra rinascimentale

Con la prevalsa degli Aragonesi sugli Angioini a Napoli, gli Zurlo ebbero confermata l’assegnazione del feudo da parte di Alfonso V d'Aragona. Con questa famiglia Solofra subisce una grande crescita, sia in termini sociali che economici, soprattutto per via della grande autonomia di cui può godere, stabilitasi anche per l’emanazione di altri statuti solofrani accettati da Ercole Zurlo, figlio di un nipote di Francesco. Grande fu anche l’espansione del centro abitato, che venne a comprendere nuovi rioni, o casali, sviluppatisi intorno a nuove cappelle o nuove chiese, che ancora una volta utilizzano le cortine come abitazione prevalentemente utilizzata, seppur leggermente diverse da quelle medioevali.

Quando Ercole Zurlo appoggia il tentativo del generale Odet de Foix di Lautrec di invadere il meridione, e gli Aragonesi ne escono vittoriosi, egli viene condannato e gli viene tolto il feudo. Così Solofra passò prima al demanio, poi a Ludovico della Tolfa. Allora la comunità solofrana, forte per la sua economia, decide di riscattare il feudo, diventando una privilegiata universitas demaniale. Quello che segue, dal 1535 al 1555 fu uno dei periodi più floridi della storia della città, perché, liberi dall’oppressione di un feudatario, i cittadini solofrani possono commerciare liberamente i prodotti artigianali e crescere. In questo periodo, inoltre, espressione della fiorente economia di questo periodo fu la costruzione della maestosa Collegiata, realizzata abbattendo la pieve, che era diventata troppo piccola per la comunità.

La parentesi autonoma fu però breve: l’avversità del dominio spagnolo e i debiti contratti dall’Universitas costrinsero i solofrani a vendere il feudo alla famiglia Orsini, di Gravina di Puglia, che governerà Solofra fino al 1809, ovvero fino all’abolizione della feudalità. Più precisamente lo vendettero a Beatrice Ferrella Orsini, ma non si privarono dei diritti che avevano acquisito col tempo (uso delle acque, dei forni, dei mulini ecc.), per questo furono emanati nuovi articoli statutari che la feudataria dovette firmare. Gli Orsini governeranno Solofra fino all’abolizione della feudalità nel meridione, e hanno inevitabilmente condizionato lo sviluppo della città. Spesso abusarono del proprio potere, soprattutto la Ferrella, tanto che nel 1577 venne intentata una causa ai suoi danni, per non aver rispettato gli Statuti, per essersi appropriata di parte dell’acqua necessaria alle botteghe e per aver abusato del demanio. Anche la costruzione del palazzo ducale fu segnata da controversie, perché la Orsini lo costruì molto vicino alla Collegiata, come manifesto della supremazia del proprio potere. Così probabilmente la costruzione venne sabotata e crollò, per poi essere costruito dov’è tuttora. Non mancarono comunque gli interventi positivi tra i loro governi, ad esempio la costruzione del convento di San Domenico, da parte di Dorotea Orsini e il tentativo di riappacificazione di Filippo Orsini, che donò le reliquie di Santa Dorotea al popolo, per il malgoverno del padre Domenico.

Nel seicento la conformazione urbana si definisce ancora di più, arrivando a formare tutti i rioni del centro che esistono tutt’ora. In questo secolo ci fu un avvenimento segnante per Solofra: la peste decimò la popolazione, nel 1625. In questa occasione fu anche rifatta la chiesa di San Rocco. Nel 1611 nacque a Sant’Agata di sopra il grande Francesco Guarini, esponente della pittura napoletana, che lascia tantissime opere nella sua città natale. Nel 1796 Sant’Agata di Sotto si stacca da Serino diventando comune autonomo. La città di Solofra partecipò attivamente anche ai moti rivoluzionari del 1799.

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Solofra

Età contemporanea

Data l’attività e l’operosità in campo industriale ed artigianale, Solofra si inserisce da subito nello scenario socialista della fine del XIX secolo, sulla scia dei movimenti salernitani e napoletani. Nacquero così ben tre società di lavoratori: la Lega dei pellettieri, la Società Centrale, e la Società Agricola di Mutuo Soccorso, che spesso si adoperarono affinché venissero concessi salari maggiori e diminuissero gli orari di lavoro. A Sant’Agata di sotto (oggi Sant’Agata Irpina) nacque anche l’Unione Operaia.

La Lega Pellettieri (fondata nel 1903) ricoprì un ruolo fondamentale per Sant’Agata e Solofra e fu il primo esempio di organizzazione operaia in Irpinia, che vide un’enorme partecipazione di operai e artigiani della pelle. Con alcune manifestazioni pretese un aumento degli stipendi del 25% e una diminuzione delle ore di lavoro, da 14 a 8 ore. La Lega è stata, quindi, un vero e proprio punto di riferimento per i conciatori, e grazie anche alla volontà del sindaco di quel tempo, Vincenzo Napoli, è stata anche sede di numerose assemblee socialiste della zona. Se la lega era il punto di riferimento dei conciatori, la Società Centrale, invece, lo era per tutti i lavoratori di ogni categoria che avevano bisogno di assistenza. I numerosi soci che la costituivano si aiutavano tra di loro, per quanto consentivano le possibilità personali. I più abbienti, infatti, non esitavano a fornire supporto a chi era in difficoltà.

Da ricordare sono due importanti alluvioni, uno nel 1805 e uno nel 1852, che afflissero Solofra colpendo tutti i rioni, le strade e i ponti, ma in particolar modo il rione Santa Lucia (o Fontane Sottane), completamente distrutto. Avvenimento importante fu la costruzione della ferrovia, inaugurata nel 1862 (tratto Sanseverino-Avellino), che consentì un trasporto di persone e merci molto più rapido ed efficiente.

Durante il ventennio fascista Solofra fu sede di un campo di internamento in via Misericordia, inizialmente uno dei tre della provincia, poi unico rimasto, ospitò in media 25 internate. In occasione della Seconda Guerra Mondiale, il 21 settembre 1943 la città di Solofra fu bombardata per la presunta presenza di soldati tedeschi. La città fu devastata e 200 persone vi persero la vita.

Il 23 novembre 1980, alle ore 19:34, il comune di Solofra, insieme a tanti altri paesi sparsi tra le province di Avellino, Salerno e Potenza, fu colpito dal violento terremoto dell'Irpinia che causò 2.735 morti totali.

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Casali

I Casali di Solofra

Anticamente l'abitato di Solofra era suddiviso in casali, insediamenti ben delimitati secondo una caratteristica sannita (vivere vicatim) che si riscontra ancora oggi negli insediamenti di Serino e di Montoro, mentre a Solofra, per le dimensioni del territorio e lo sviluppo abitativo, sono scomparsi.

Nel 1528 sono documentati i seguenti casali: Capo Solofra, Fontane soprane, Fontane sottane, lo Sorbo, il Balzami, la Forna, Lo Fiume, Lo Sortito, Li Burrelli, Le Casate, la Fratta, Lo Toro soprano, Lo Toro sottano, Lo Vicinanzo. Nel Catasto onciario (1754) sono documentati i seguenti casali: Sorbo, Balsami, Forna, Toppolo-Cupa-Capopiazza, S. Angelo e Strada vecchia, Volpi, Fratta, Toro, S. Agata di Solofra, ovvero l'odierna S. Andrea.

 

I Casali di Solofra
I Casali di Solofra

Luca Penna, Francesco Sorrentino,
Palazzo di “don Massenzio”, Solofra (AV),
Laboratorio di Restauro, Facoltà di Architettura,
Università degli Studi di Napoli “Federico II”.

Casali

Il casale di Caposolofra

Intorno a Turci si era formato un grande casale, Caposolofra (63 abitazioni di cui 2 palazziate e 25 medio-alte, tutte con giardino, orto e stalla), che aveva inglobato i quattro precedenti, un casale commerciale ed artigiano (aveva un fondaco, 11 concerie e diversi magazzini) per la sua vicinanza a Turci. In posizione isolata c’era il Monastero di S. Domenico, mentre a Turci, in parte anche nel feudo di Serino, la Cappella di S. Maria della neve aveva l’abitazione di un “eremita”.

Nel 1754 l'insediamento era formato da 119 fuochi per un totale di 705 individui. Un fuoco era un'unità contributiva del catasto e poteva essere costituita anche da più famiglie che vivevano sotto lo stesso tetto.

Dal Catasto onciario del 1754
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Casali

Il casale del Sorbo

Il casale del Sorbo giungeva fino a Capopiazza (la parte alta della piazza) e attraverso la via Afflitta (detta così per la Chiesa di S. Maria degli Afflitti) e via Croce, portava a Caposolofra il traffico commerciale proveniente dalla Platea. Con le sue 40 abitazioni di cui metà “palazziate”, era un casale residenziale, che nella parte alta aveva il Monastero di Santa Teresa e il Convento dei Cappuccini, c’era poi la Cappella del SS. Crocifisso, né mancavano magazzini e concerie.

Nel 1754 l'insediamento era formato da 46 fuochi per un totale di 299 individui. Un fuoco era un'unità contributiva del catasto e poteva essere costituita anche da più famiglie che vivevano sotto lo stesso tetto.

Dal Catasto onciario del 1754
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Casali

Il casale Balsami

Il casale Balsami, toccato dall’alto corso del fiume, lungo il quale c’erano 15 botteghe di conceria, e comprendente i monti a sud fin quasi a Passatoia, aveva 50 abitazioni di cui metà medio-alte, numerosi magazzini per il deposito di pelli e lana, una bottega lorda e la chiesa dell’Ascensione.

Nel 1754 l'insediamento era formato da 34 fuochi per un totale di 171 individui. Un fuoco era un'unità contributiva del catasto e poteva essere costituita anche da più famiglie che vivevano sotto lo stesso tetto.

Dal Catasto onciario del 1754
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Casali

Il casale Forna

Il casale Forna (con 60 abitazioni di cui 1/3 palazziate) si sviluppava lungo l’asse viario (Balsami-zona delle concerie) costituito da due tronconi (via L. Landolfi e via Forna) spezzati da uno slargo (piazza del Popolo) in cui sorgeva la chiesa del casale dedicata a S. Maria del Popolo ed aveva, verso il vallone, 4 concerie.

Nel 1754 l'insediamento era formato da 51 fuochi per un totale di 274 individui. Un fuoco era un'unità contributiva del catasto e poteva essere costituita anche da più famiglie che vivevano sotto lo stesso tetto.

Dal Catasto onciario del 1754
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Questo è il casale dominato dai Giliberti.

Casali

Toppolo-Cupa-Capopiazza

Toppolo-Cupa-Capopiazza era un grosso insediamento che comprendeva l’ex casale del Fiume (ora Toppolo con 15 abitazioni), la via di accesso alla zona di S. Agostino, detta Cupa (ora via Abate Giannattasio) con 41 abitazioni di cui 16 palazziate e 3 sedili, e la piazza (Capopiazza) con 13 abitazioni tutte palazziate ed un comprensorio di case. Si sviluppava trasversalmente, da sud a nord (torrente Solofrana-vallone di S. Domenico), al servizio dell’attività di concia e della mercatura con 34 concerie (di cui 28 al Toppolo-Fiume, 5 alla Cupa ed una a “le roselle”), 50 botteghe (tutte a Capopiazza, molte erano corpi autonomi appoggiati alle abitazioni), delle quali 20 appartenenti al monastero di S. Agostino, 7 in piazza S. Giacomo e 3 al largo “le roselle” (via Felice De Stefano), un fondaco, una Taverna e una stalla. Dallo spiazzo dinanzi S. Giacomo partiva verso occidente la strada “Lavinaio”, che conduceva verso i “giardini di S. Agostino” e “i giardini del Palazzo” dove c’erano 5 botteghe di proprietà del feudatario. Al Toppolo apparteneva la chiesa del Soccorso di jus patronale della famiglia Garzilli.

Nel 1754 l'insediamento era formato da 73 fuochi per un totale di 405 individui. Un fuoco era un'unità contributiva del catasto e poteva essere costituita anche da più famiglie che vivevano sotto lo stesso tetto.

Dal Catasto onciario del 1754
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Casali

S. Angelo e Strada vecchia

S. Angelo e Strada vecchia comprendeva due zone ben distinte: “Strada vecchia” (60 abitazioni di cui 20 grandi) era l’odierna via della Fortuna fino alla Chiesa di S. Rocco con, verso il fiume, una conceria, 18 botteghe (4 di proprietà dell’Orsini) più una “casa della corte”; la via nuova (via Gregorio Ronca) con 17 botteghe, un sol “comprensorio” di case, un locale adibito a scuola; “S. Angelo” (85 abitazioni, 10 case sottane ed una conceria) era tutta la via chiamata piè S. Angelo (ora Regina Margherita) con il Convento e la chiesa dell’Addolorata.

Nel 1754 l'insediamento era formato da 100 fuochi per un totale di 473 individui. Un fuoco era un'unità contributiva del catasto e poteva essere costituita anche da più famiglie che vivevano sotto lo stesso tetto.

Dal Catasto onciario del 1754
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Casali

Il casale Volpi

Il casale Volpi (80 abitazioni, 3 comprensori di case, 6 magazzini, 1 bottega lorda e 11 concerie) si sviluppava intorno all’asse viario che cominciando dalla chiesa dello Spirito Santo giungeva al confine con Montoro (via Michele Napoli-Dodici Apostoli-Consolazione), dove c’era la Chiesa della Madonna della Consolazione e una taverna con fondaco. Il casale comprendeva una parte alta (Casate) e una parte bassa con vigneti e masserie con abitazioni.

Nel 1754 l'insediamento era formato da 63 fuochi per un totale di 358 individui. Un fuoco era un'unità contributiva del catasto e poteva essere costituita anche da più famiglie che vivevano sotto lo stesso tetto.

Dal Catasto onciario del 1754
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Casali

Il casale Fratta

Il casale Fratta andava da S. Angelo al confine con Montoro in un ampio territorio che comprendeva la zona abitata intorno alle chiese di S. Giuliano e della Madonna della Misericordia (100 abitazioni di cui 12 comprensori e diverse botteghe) e una zona a coltura con seminativi e masserie (tra Toro, S. Agata e Montoro).

Nel 1754 l'insediamento era formato da 75 fuochi per un totale di 395 individui. Un fuoco era un'unità contributiva del catasto e poteva essere costituita anche da più famiglie che vivevano sotto lo stesso tetto.

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Casali

Il casale Toro

Il casale Toro (70 abitazioni di cui alcune palazziate) si estendeva tra Caposolofra, S. Andrea, S. Agata e la Fratta, nel suo territorio aveva la collina del castello, le pendici del Pergola. Aveva una parte alta intorno alla casa dei Maffei, con la chiesa di S. Maria del Carmelo di jus patronale di questa famiglia, e alla Carcarella.

Nel 1754 l'insediamento era formato da 49 fuochi per un totale di 284 individui. Un fuoco era un'unità contributiva del catasto e poteva essere costituita anche da più famiglie che vivevano sotto lo stesso tetto.

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Il casale di S. Agata di Solofra

Il casale di S. Agata di Solofra (ora S. Andrea) sulle pendici del Pergola S. Marco giungeva fino al passo di Castelluccia. Aveva abitazioni nella maggioranza di media grandezza con molte vigne e selve, non c’erano concerie mentre molti abitanti erano trasportatori (“viaticali”).

Nel 1754 l'insediamento era formato da 88 fuochi per un totale di 440 individui. Un fuoco era un'unità contributiva del catasto e poteva essere costituita anche da più famiglie che vivevano sotto lo stesso tetto.

Dal Catasto onciario del 1754
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Casali

Il casale di S. Agata di Serino

S. Agata di Serino aveva 6 concerie e la famiglia più ricca di tutta la zona (6000 ducati impegnati nella mercatura) e altre poche famiglie facoltose.

Nel 1754 l'insediamento era formato da 100 fuochi per un totale di 567 individui. Un fuoco era un'unità contributiva del catasto e poteva essere costituita anche da più famiglie che vivevano sotto lo stesso tetto.

Dal Catasto onciario del 1754
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Il casale di S. Agata di Serino non faceva parte di Solofra ma era posto in territorio solofrano.

Regione Puglia

La Puglia oggi

Stemma della Regione Puglia
Stemma della Regione Puglia

La Puglia è la regione più a oriente d'Italia, è bagnata a nord-est dal Mar Adriatico e a sud dal Mar Ionio, confina a sud-sudovest con la Basilicata, a ovest-sudovest con la Campania e ad ovest con il Molise. La Puglia è divisa in cinque province: Foggia, Bari, Taranto, Brindisi, Lecce. Bari è il capoluogo di regione. Nel giugno del 2004 è stata istituita una sesta provincia, quella di Barletta-Andria-Trani, detta anche «dell'Ofanto».

Puglia
Puglia

Popolosa regione dell'Italia meridionale (19.357 km² e 4.049.372 ab.), la Puglia è seconda solo al Veneto per l'estensione delle aree pianeggianti: 53% del territorio contro il 56% del Veneto. I centri abitati accolgono il 97% dei residenti, mentre solo il 3% è distribuito in nuclei e case sparse sul territorio.

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La Puglia nella Preistoria

Grotta Paglicci, nei pressi di Rignano Garganico, in provincia di Foggia, ad oggi, è uno dei più importanti siti paleolitici d'Europa. Ha restituito in quarant'anni di scavi oltre 45.000 reperti databili tra i 500.000 e gli 11.000 anni da oggi (Paleolitico Inferiore, Medio e Superiore). Sempre sul Gargano, sul letto e la foce del torrente Romandato, vicino Ischitella, sono stati ritrovati resti di Homo erectus. Il numeroso materiale rinvenuto in questa zona, racconta storie di pietra in bifacciali amigdaloidi e manufatti su scheggia, indispensabili per la caccia e la preparazione del cibo. E l'uomo qui, e in tante altre località soprattutto del Gargano settentrionale, si insedia e progredisce nel dominio del mondo circostante, fino al Paleolitico medio, in cui appare l'Homo neanderthalensis.

Altri studi e ricerche effettuati negli ultimi anni hanno rivelato che il Salento fosse abitato già nel Paleolitico medio (circa 80.000 anni fa). Nelle tante grotte naturali dovute alla natura calcarea del territorio, sono stati rinvenuti utensili di selce. Un'importante scoperta archeologica riguarda alcune statue ossee rinvenute nella Grotta delle Veneri presso Parabita, le quali dimostrano l'esistenza già 20.000 anni fa di culti riguardanti la fertilità; quelle della Grotta delle Mura a Monopoli che dimostrano la presenza di abitanti già nel Musteriano (Paleolitico Medio); la Grotta Spognoli ed ancora Grotta Paglicci, nella quale sono stati ritrovati diversi reperti risalenti al Paleolitico Medio e Superiore. Probabilmente si trattava di ominidi appartenenti alla specie uomo di Neanderthal, mentre quella dell'homo Sapiens Sapiens si sarebbe diffusa nel Paleolitico superiore (Periodo risalente a circa 35.000 anni fa).

Un'altra importante testimonianza dei “primi pugliesi” è rappresentata da un ominide donna vissuta 25.000 anni fa scoperta ad Ostuni la cui importanza sta nel fatto che essa conservava in grembo i resti di un feto in fase terminale, diventando quindi la più antica madre della storia. In località Passo di Corvo, alle porte di Foggia, troviamo il sito archeologico del Neolitico più grande e tra i più datati d'Europa (dal VI al IV millennio a.C.). In questa area, dal Medioriente, giunse in Italia la pratica dell'agricoltura, favorita dalla fertilità del tavoliere di Puglia. Sempre nel capoluogo Dauno, sono stati trovati altri importanti siti del neolitico, nell'area della villa comunale, dell'ex ippodromo ed in località Pantano, tra i quartieri Ordona Sud, San Lorenzo e Salice Nuovo. Durante il calcolitico si afferma l'importante cultura di Laterza

Numerosi nella regione i graffiti come quelli della Grotta Romanelli, presso Castro, e della Grotta dei Cervi, presso Porto Badisco. Recenti scavi effettuati a Roca Vecchia hanno inoltre evidenziato un imponente sistema di fortificazioni risalente all'età del bronzo (XV-XI secolo a.C.). Nella stessa area si trova un altro sito archeologico importante: la grotta della Posia piccola, riscoperta dagli archeologi nel 1983; essa si sviluppa circolarmente su una superficie di 600 m² e reca numerosissime iscrizioni votive, talvolta sovrapposte, di epoche e civiltà differenti, che risalgono all'VIII-II secolo a.C. Altre importanti testimonianze ancestrali sono rappresentate da alcune costruzioni megalitiche, soprattutto nel Salento, come i dolmen, menhir e specchie, che nei secoli successivi furono adibite al culto del Cristianesimo.

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Dauni, Peuceti e Messapi

L'antica Japigia, popolata in origine da genti sia illiriche che greche, comprendeva i territori della Daunia (la Puglia settentrionale), della Peucezia (Puglia centrale) e la Messapia (penisola salentina). Di contro, i monti della Daunia erano saldamente in mano ai Sanniti e agli Irpini; il più rilevante tra i loro numerosi oppida dovette essere Vescellium, citato da Livio e da Plinio.

I Dauni svilupparono una ricca cultura peculiare, non priva però di contatti con altre popolazioni vicine sia greche che indigene, seppur mantenne una sua precisa “indipendenza” culturale. Tra i reperti più significativi di questa civiltà spiccano senz'altro le famose steli daunie, blocchi lapidei scolpiti risalenti al VI secolo a.C., trovate nella piana sud di Siponto, presso Manfredonia, e oggi conservate nel Museo nazionale di quella città. Rappresentano figure umane maschili e femminili fortemente stilizzate ed erano infisse verticalmente nel terreno, in corrispondenza delle sepolture di coloro che raffiguravano. I principali centri dauni erano Tiati (presso San Paolo di Civitate), Casone (presso San Severo), Luceria (Lucera), Merinum (Vieste), Monte Saraceno (presso Mattinata), Siponto, Coppa Nevigata, Cupola, Salapia (parzialmente in agro di Cerignola), Arpi (presso Foggia), Aecae (presso Troia), Vibinum (Bovino), Castelluccio dei Sauri, Herdonia (Ordona), Ausculum (Ascoli Satriano), Ripalta (presso Cerignola), Canosa e Venosa, quest'ultima nell'attuale Basilicata.

I Peuceti abitavano il territorio che occupava la parte centrale dell'Apulia, corrispondente più o meno all'attuale provincia di Bari, in un'epoca in cui l'attuale capoluogo pugliese era ancora un centro minore, soprattutto rispetto alle fiorenti città di Canosa, Silvium (l'odierna Gravina in Puglia), Ruvo di Puglia, Bitonto, Azetium (l'odierna Rutigliano), Norba e Trani.

La penisola salentina, dai greci anticamente chiamata Messapia (cioè “Terra fra due mari”), era abitata dai Messapi, popolazione di origine illirica o egeo-anatolica. Le città principali, oggi ricordate come dodecapoli messapica per assimilazione con la dodecapoli etrusca, erano in realtà almeno 13: Alytia (Alezio), Ozan (Ugento), Brention/Brentesion (Brindisi), Hyretum/Veretum (Vereto), Hodrum/Idruntum (Otranto), Kaìlia (Ceglie Messapica), Manduria, Mesania (Mesagne), Neriton (Nardò), Orra (Oria), Cavallino (non si hanno notizie certe del nome antico), Thuria Sallentina (Roca Vecchia) e, ai limiti settentrionali della penisola, l'importante città di Egnazia.

La fondazione della città di Taranto, importantissimo porto della Magna Grecia, è datata tradizionalmente al 706 a.C., in seguito al trasferimento di alcuni coloni Spartani in questa zona per necessità di espansione o per ragioni legate al commercio. La colonia tarantina Taras intrattenne lunghi rapporti conflittuali con le popolazioni messapiche. Ad esempio, Erodoto narra dello sterminio degli eserciti di Tarentini e Reggini avvenuto nel 473 a.C. ad opera dell'alleanza stipulata tra Messapi e Lucani. Nel V secolo a.C. Taras si allineò alla politica di Sparta, e visse il periodo di maggiore floridezza durante il governo settennale di Archita, che segnò l'apice dello sviluppo e il riconoscimento di una superiorità politica sulle altre colonie dell'Italia meridionale. Risale a quel periodo l'occupazione dell'isola su cui sorgerà la futura Gallipoli, che i Tarantini utilizzarono come scalo commerciale. Dal 343 a.C. al 338 a.C. i Tarantini si scontrarono nuovamente con i Messapi, rimediando una sconfitta che culminerà con la morte del Re spartano Archidamo III, accorso in aiuto della città magno-greca.

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La Puglia nel periodo Romano

I Romani conquistarono la regione nel corso delle guerre contro i Sanniti e contro Pirro tra il IV e il III secolo a.C. Per tutte le città della Puglia si preparava la conquista dei Romani, conclusasi intorno al 260 a.C., i quali ben presto si accorsero della posizione strategica della regione che, con il porto di Brindisi, rappresentava la via per la conquista dei Balcani e della Grecia.

La Puglia centro-settentrionale fu attraversata durante il periodo imperiale dalla via Traiana, che univa Benevento a Brindisi passando per Herdonia; di tale città rimangono i resti del fiorente centro romano, in particolar modo del macellum, del foro, delle terme oltre che della stessa via Traiana, che successivamente attraversava anche la città romana di Canusium. Testimonianze documentate da Strabone e Plinio il Vecchio indicano inoltre la presenza sul Gargano di una città, Yria (o Uria), che probabilmente svolgeva un ruolo importante nel periodo romano dato che aveva il permesso di coniare moneta.

Bari, una volta conquistata, godette della qualifica di municipium cum suffragio, status che offriva la possibilità di legiferare e creare delle proprie istituzioni, pur dipendendo di fatto da Roma. Il capoluogo poté creare una zecca e realizzò un pantheon, dedicato alle sue divinità pagane.

Nel III secolo a.C. Taranto, orgogliosa della sua origine greca, cercò di ostacolare le mire espansionistiche di Roma nell'Italia meridionale e strinse un'alleanza con Pirro, Re dell'Epiro e nipote di Alessandro Magno. Gli scontri tra Epiroti e Romani cominciarono nel 280 a.C., e furono sempre durissimi e costosi in termini di vite umane. Con il ritiro epirota determinato dalla sconfitta di Maleventum, i Tarantini chiamarono allora una flotta cartaginese a sostegno, affinché li aiutasse a liberarsi del presidio lasciato da Pirro. Per tutta risposta la città fu consegnata al console romano Lucio Papirio Cursore, e così Taranto cadde in potere dei Romani nel 272 a.C. Diventato presidio romano, la città fu citata da numerosi autori classici come luogo di divertimento della gioventù romana.

Brindisi, intorno al 240 a.C., venne elevata al rango di municipio e ai brindisini fu riconosciuta la prestigiosa cittadinanza romana. La città adriatica divenne un porto trafficatissimo e caposcalo per l'Oriente e la Grecia, infatti molti romani illustri transitarono da Brindisi, diretti in Grecia. Cicerone scrisse le “Lettere Brindisine” e Marco Pacuvio realizzò alcune sue tragedie; a Brindisi morì Virgilio, mentre tornava da un viaggio in Grecia.

Con la conquista romana, avvenuta tra il 269 a.C. e il 267 a.C., Lecce latinizzò il suo nome in Lupiae, passando da statio militum (stazione militare) a municipium (comunità cittadina affiliata a Roma). La città conobbe un periodo di notevole magnificenza sotto la guida dell'Imperatore Marco Aurelio. Il nucleo cittadino si spostò poi di circa 3 km a nord-est e prese il nome di Licea o Litium. La nuova città fiorì in epoca adrianea e venne arricchita di un teatro e di un anfiteatro e collegata al Porto Adriano (oggi San Cataldo).

La Puglia si latinizzò a tal punto da contribuire alla nascita della letteratura latina con figure di spicco quali Livio Andronico, Quinto Ennio e Marco Pacuvio. Il dominio romano favorì la realizzazione di importanti infrastrutture e opere pubbliche. Fu costruita la via Appia che, passando da Taranto e Oria terminava di fronte al porto di Brindisi: la fine della Regina Viarum è segnata ancora oggi da due imponenti colonne. Da Brindisi partiva anche la via Traiana, la quale passava da Egnazia (città che segnava il confine del territorio messapico e l'inizio di quello peuceta), Bitonto, Ruvo, Canosa ed Herdonia, per poi ricollegarsi alla via Appia nei pressi di Benevento.

A dimostrazione delle differenze presenti attualmente tra la Puglia del nord e la Puglia del sud, i Romani distinsero nella Regio II Apulia et Calabria l'Apulia dalla Calabria (l'attuale Salento), cioè due realtà contigue e simili ma con delle opportune differenze politico-culturali.

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Ostrogoti, Bizantini e Longobardi

Con la caduta dell'Impero romano d'Occidente, la Puglia fu sconvolta da una serie di guerre che interessarono Bizantini, Ostrogoti, Longobardi e Saraceni. Dapprima l'Italia fu conquistata dagli Ostrogoti di Teodorico che ne detennero il controllo fino alla prima colonizzazione bizantina, quando a seguito della guerra bizantino-gotica (535 - 553) voluta da Giustiniano I per riconquistare le terre occidentali un tempo appartenute a Roma, Belisario prima e poi Narsete procedettero alla conquista dell'intera penisola. Durante le guerre furono distrutte e depredate città come Arpi ed Herdonia, mentre Totila, re degli Ostrogoti, creò successivamente un forte presidio a Taranto. Il generale bizantino Narsete, successore di Belisario, sconfisse Totila e completò la conquista della penisola.

Nel 568 ci fu una seconda invasione dell'Italia ad opera dei Longobardi di Alboino che conquistarono pian piano gran parte dell'Italia. Nella primavera del 663 il Basileus Costante II Eraclio sbarcò a Taranto con una flotta, e strappò ai Longobardi la città, le Murge, il Salento e il Gargano. Tornato l'Imperatore a Costantinopoli, i Longobardi ripresero la lotta, prima col duca Grimoaldo, e poi con il di lui figlio Garibaldo, che nel 686 riconquistò Taranto e Brindisi. Intanto i Longobardi, sebbene ad oggi non si conoscano i modi e i tempi, conquistarono la Puglia e il Bruttium settentrionali con incursioni anche più a sud. Brindisi era stata distrutta nel 674 dai Longobardi di Benevento guidati da Romualdo, e nel IX secolo fu sede, nel sito di Torre Guaceto, di un campo trincerato saraceno. Ripresa dai Bizantini, ne restò in possesso sino alla conquista normanna nel 1070.

Nella prima metà del VII secolo, i Longobardi erano giunti poco più a sud dell'Ofanto. L'ulteriore avanzata fino alla soglia messapica sarebbe avvenuta successivamente con Romualdo I. La penisola salentina divenne una terra di confine fra Longobardi e Bizantini. Questi ultimi, intorno al VII secolo, fondarono il Ducato di Calabria, aggregando la regione del Bruzio (l'attuale Calabria) alle terre che già possedevano nel Salento. Fu in questa occasione che il nome Calabria finì per designare l'odierna regione calabrese, mentre il Salento venne progressivamente conquistato dai Longobardi che finirono per prendere anche la capitale del ducato, Otranto. Nel 757, nel periodo in cui Longobardi e Bizantini stipularono la pace e si spartirono il territorio, la città idruntina venne restituita all'Impero insieme alla parte meridionale del Salento, ma ormai la trasmigrazione del nome Calabria era compiuta.

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Saraceni e Bizantini

L'inizio del IX secolo fu caratterizzato invece dalle lotte interne che indebolirono il potere longobardo. Già dall'VIII secolo iniziarono inoltre le scorrerie dei Saraceni, che dureranno fino all'anno 1000. Nell'840 Taranto fu conquistata dai Saraceni che divenne la principale base delle scorrerie nell'alto Adriatico. Nell'847 fu la volta di Bari che divenne un vero e proprio emirato. Bari fu conquistata nell'871 dai Longobardi e nell'876 dai Bizantini e divenne il maggior centro politico, militare e commerciale dell'Impero romano d'Oriente, in Italia. Nell'871, e successivamente nell'875, Taranto accolse le truppe musulmane destinate al saccheggio della Campania e della Puglia. Nell'880 l'Imperatore Basilio I il Macedone, deciso a sottrarre ai Saraceni le terre pugliesi, inviò due eserciti guidati dai generali Procopio e Leone Apostyppes ed una flotta navale al comando dell'ammiraglio Nasar: bloccata la via del mare dalla flotta bizantina, i musulmani, al comando di ‘Othman, vennero sconfitti, e così Taranto fu sottratta al loro dominio. Nel 975 il catapano bizantino Zaccaria sconfisse presso Bitonto i Saraceni e uccise il loro capo, Ismaele. Bari dall'anno 1000 subì i tremendi assalti dei Saraceni: il più grave di questi avvenne nell'anno 1002, un lungo assedio da cui Bari venne liberata grazie all'intervento della flotta veneziana, guidata dal doge Pietro II Orseolo. In seguito venne costruita la chiesa di Chiesa di San Marco dei veneziani .

Nella seconda metà del IX secolo si venne concretizzando quella che rappresenta la seconda colonizzazione bizantina: gran parte del sud Italia venne cioè riconquistato dai bizantini e fu diviso in tre themi: Calabria, Lucania, Langobardia. La vecchia “Calabria”, ossia l'odierno Salento, sarà parte del thema di Langobardia. Nome, questo, che, al contrario di quanto era accaduto nella regione calabrese, non si affermò mai. L'impero bizantino, favorì l'immigrazione di bizantini, in particolare nel sud del Salento, per ripopolare una zona considerata strategica. Le tracce di quell'antica migrazione sopravvivono tutt'oggi nell'isola linguistica della Grecìa salentina, dove si parla una lingua direttamente imparentata al greco. Nella Daunia, che assunse nel frattempo il nome di Capitanata (per via della presenza costante del catapano) Basilio Boiannes creò una cinta di città sul subappenino Dauno a difesa del confine occidentale, esposto a diverse invasioni. La stabilità politica, infine, portò alle città, soprattutto costiere, della Puglia centrale, un grande sviluppo commerciale, grazie al quale crebbero gli scambi con la Repubblica di Venezia che stava assumendo un ruolo sempre più importante. In questo periodo Bari diventa capoluogo regionale.

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I Normanni e la Contea di Puglia

Nel 1010 ci fu una rivolta guidata da Melo di Bari, nobile longobardo di cultura greca, a cui parteciparono le città Bari, Bitonto, Bitetto. La rivolta fu sedata ma segnò l'inizio della decadenza del dominio bizantino in Puglia. Con l'arrivo dei Normanni, il territorio al confine tra la Capitanata ed il Vulture è il luogo ove si combattono nel 1041 tre battaglie decisive: la battaglia di Montemaggiore, la battaglia di Olivento e la battaglia di Montepeloso (Irsina). I normanni e i longobardi alleati battono i Bizantini e si impossessano di gran parte del territorio del Catepanato d'Italia.

La Contea di Puglia è fondata da Guglielmo I d'Altavilla, nel settembre del 1042 a Melfi. Egli a Guaimario V, principe Longobardo di Salerno ed a Rainulfo Drengot, conte di Aversa, propone un'alleanza. Guaimario con Rainulfo e Guglielmo, si reca a Melfi e riunisce un'assemblea dei baroni Longobardi e Normanni, che termina al principio del 1043. Tutti offrono un omaggio come Vassalli a Guaimario, che riconosce a Guglielmo I d'Altavilla il primo titolo di conte di Puglia. Per legarlo a sé gli offre in moglie la nipote Guida, figlia del duca Guido di Sorrento. Nasce, così, la Contea di Puglia.

La Contea è un territorio non ancora omogeneo, acquisito a “macchia di leopardo”. L'intera regione, ad eccezione di Melfi, è suddivisa in dodici baronie, costituite a beneficio dei capi Normanni ed assegnate nei territori di Capitanata, Apulia e Irpinia, fino al Vulture dove Melfi ne è la capitale. I Normanni dividono in dodici Contee le terre conquistate o da conquistare. Il Sovrano attribuisce i feudi secondo il rango ed il merito ed ognuno dei condottieri si dedicherà alla conquista di quanto concessogli.

In Capitanata, Guglielmo ha la signoria di Ascoli; Rodolfo ha Canne; a Gualtiero tocca Civitate. Nel Gargano, a Rodolfo di Babena è assegnata Monte Sant'Angelo. Nel Vulture, a Drogone d'Altavilla è affidata la Signoria di Venosa; a Tristaino Montepeloso (Irsina), a Asclettino I Drengot Acerenza e ad Attolino Lavello. In Apulia la Contea raggiunge due uniche località sul mare: Ugo Tuboeuf riceve Monopoli; Pietro ha Trani ed a Ramfredo va Minervino, sulla Murgia. In Irpinia ad Erveo è affidata, infine, Frigento.

Nel 1042 i Normanni, guidati da Guglielmo d’Altavilla, più noto come Braccio di Ferro, si stabiliscono a Melfi, nominato poi nel 1046 Conte di Puglia dall’Imperatore Enrico IV. La Contea di Puglia è dunque il primo Stato normanno dal 1043 al 1059. La nuova contea è costituita da un territorio non ancora omogeneo, acquisito dal clan Altavilla a “macchia di leopardo”. È difficile, pertanto, disegnarne i confini effettivi. L’intera regione, a eccezione di Melfi, viene poi suddivisa in dodici baronie, costituite a beneficio dei capi Normanni e assegnate nei territori di Capitanata, Gargano, Apulia e Campania, fino al Vulture, di cui Melfi è la capitale. Giungono così in Italia molti altri conterranei e membri degli Altavilla, tra cui Roberto il Guiscardo e Gilbert Quarrel Drengot, capostipite dei Giliberti, il ramo materno di chi scrive.

La Contea di Puglia
La Contea di Puglia

Il Principe Guaimario V vanta i diritti su Melfi e nel 1044 impone ad Argiro (figlio di Melo da Bari) di ritornarsene a Costantinopoli: il condottiero s'imbarca alla volta della Capitale Imperiale. Nel 1046 muore Guglielmo I d'Altavilla, e gli succede il fratello minore Drogone, che media tra i Longobardi di Salerno ed il Clan Drengot, e ripristina l'alleanza. Guaimario V gli concede in sposa la sorella Gaitelgrima. Enrico III nel 1047 a Capua legittima i possessi acquisiti: a Drogone d'Altavilla conferisce l'investitura e lo rende suo Vassallo e Conte di tutti i Normanni di Apulia e Calabria. L'Imperatore riconosce in tal modo la Contea di Puglia.

Il papa Leone IX nel 1051 dichiara decaduta la Stirpe Longobarda in Benevento, affida ad un Rettore il governo della Città e convoca Drogone d'Altavilla e Guaimario V, affinché ne garantiscano la sicurezza ed impone il giuramento di sottomissione a Guaimario ed al genero, Drogone, il secondo Conte di Puglia. Guaimario V nel 1052 viene assassinato a Salerno da una congiura organizzata dai cognati insieme ai Bizantini di Amalfi. Essi rapiscono Gisulfo II, figlio dello stesso Principe. Sfugge alla cattura il fratello di Guaimario, Guido di Sorrento, che si rivolge a Melfi dalla sorella e dal marito di lei, Umfredo I d'Altavilla. L'esercito dei Normanni accorre a Salerno e permette a Gisulfo di succedere al padre.

Le conquiste normanne turbano Leone IX e nel 1053 le sue forze subiscono una sconfitta nella Battaglia di Civitate ad opera degli eserciti degli alleati Altavilla e Drengot. Essi imprigionano il Pontefice a Benevento; la sua liberazione è subordinata alla pace e al riconoscimento delle due Casate. Il Papa riconosce la Contea di Puglia, si reca a Melfi e crea Umfredo suo Vassallo; consacra il Vassallaggio alla Chiesa del Guiscardo, che in cambio offre al Papa la Signoria su Benevento. È la svolta decisiva nella conquista nel Sud: diventa il braccio armato della Cristianità.

Ad agosto 1057 i Normanni si riuniscono a Melfi e Roberto il Guiscardo assume la tutela del giovane Abelardo, figlio di Umfredo I, ma presto disereda i nipoti e pretende il riconoscimento del titolo di (quarto) Conte di Puglia. Nel 1058 Roberto ripudia la prima unione con Alberada di Buonalbergo, madre di Boemondo e di Emma, e fa annullare le nozze, perché avvenute tra consanguinei. Per rinforzare l'alleanza con i Longobardi, si celebrano le nozze tra il guerriero Normanno e Sichelgaita. Questo evento apre alla Casa Altavilla le porte dell'aristocrazia e dall'unione nasce Ruggero chiamato Borsa, che tenterà di togliere a Boemondo la successione.

Nell'estate 1059 la Contea di Apulia è trasformata in Ducato: al Concilio di Melfi I il Pontefice Niccolò II, eleva la Contea a Ducato di Puglia e l'affida alla Casata Altavilla. Il Papa nomina Roberto il Guiscardo Duca di Puglia e Calabria, mediante accordi presi con il Trattato di Melfi e perfezionati con il Concordato di Melfi.

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Il Regno di Sicilia

Il dominio bizantino cessò nel 1071, anno in cui prese il potere Roberto il Guiscardo dando inizio alla dominazione normanna. Conquistata dai Normanni con Roberto il Guiscardo, Taranto si accinse a diventare nel 1088 la capitale di uno dei più vasti e più potenti domini feudali del Regno di Sicilia: il Principato di Taranto. Sempre in seguito alla conquista normanna, furono fondati intorno al 1055 la Contea di Lecce, che diede i natali al re normanno Tancredi d'Altavilla. I Normanni attuarono numerose riforme politiche, organizzando un efficace stato feudale, e si occuparono della fortificazione del territorio attraverso la costruzione di motte, ossia di terrapieni aventi sulla sommità una torre di avvistamento e difesa[6]. Nel territorio di Nardò sono ancora oggi presenti i resti della cosiddetta motta di Specchia Torricella. Un'altra motta di cui si conserva memoria è quella di Modugno (BA), ancora riconoscibile come una zona tondeggiante del centro storico.

Nella Capitanata, accanto a Lucera assunsero rapidamente importanza centri di nuova formazione come San Severo e, dai resti di Arpi, Foggia, nati dopo l'anno 1000 in seguito alla conquista normanna. Foggia vivrà una prima fase di prosperità quando, bonificato il suo agro acquitrinoso tra l'XI e il XII secolo, ricevette un notevole impulso economico e sociale da Roberto il Guiscardo (che tra l'altro fece erigere un castello nei pressi di Herdonia) e Guglielmo il Buono.

Il 9 maggio 1087, arrivarono a Bari le reliquie di San Nicola, vescovo di Myra, trafugate da marinai baresi. Papa Urbano II, nel 1089, raggiunse la città per consacrare la cripta della basilica e per deporre le reliquie del santo. Incominciò così l'afflusso di pellegrini da ogni parte del mondo. Nello stesso anno, cominciò la costruzione della Basilica di San Nicola che verrà portata a termine nel 1197. Nel luglio del 1127 Guglielmo, duca di Puglia, morì senza figli, Ruggero II di Sicilia reclamò tutti i possedimenti degli Altavilla e la Signoria di Capua. Nell'agosto 1128 fu proclamato nella città di Benevento duca di Puglia. Ruggero nel 1130 riunI tutti i possedimenti nel regno di Sicilia e la notte di Natale di quell'anno fu incoronato re di Sicilia.

Nel 1155 l'esercito siciliano di Guglielmo I di Sicilia fu sconfitto nei pressi di Andria[9] dall'esercito bizantino di Manuele I Comneno. In quella battaglia perse la vita, il conte di Andria Riccardo de Lingèvres, che fu ucciso sotto le mura della città. Il dominio normanno su Bari fu in seguito funestato da ribellioni e da lotte che raggiunsero il culmine nel 1156, quando Guglielmo I, detto il Malo, assalì e rase al suolo la città, salvando solamente la basilica di San Nicola.

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La Puglia e gli Svevi

La regina Costanza fu l'ultima Altavilla sul trono del regno di Sicilia e, sposatasi con l'imperatore Enrico VI, portò all'avvento degli Svevi, sotto i quali la Puglia conobbe un'importante ristrutturazione delle fortificazioni, di cui castel del Monte costituisce un esempio. Bari fu ricostruita e trascorse sotto il figlio Federico II uno dei periodi più splendidi della sua storia. L'avvento di Federico II fu fondamentale anche per lo sviluppo di Foggia, dove fece costruire tre edifici (nel centro storico, in località Pantano e in località Borgo Incoronata), di Lucera, roccaforte difensiva che ospitava una numerosissima comunità saracena (la campagna del foggiano fu una meta prediletta del sovrano, in cui fece costruire e recuperare numerosi borghi agricoli: Castel fiorentino ed Herdonia su tutti), e di Andria chiamata dallo stesso imperatore Fidelis in quanto al ritorno dalla sesta crociata le si dimostrò fedele consegnandogli le chiavi della città. Federico II liberò la città di Andria dal peso delle tasse e ivi vi costruì Castel del Monte dichiarato Patrimonio Mondiale dell'Umanità dall'UNESCO. Ad Andria nacque suo figlio Corrado IV nel 1228, avuto con la moglie Jolanda di Brienne, regina di Gerusalemme, che morì appena sedicenne in seguito al parto. A Bitonto durante la crociata del 1227 papa Gregorio IX scomunicò Federico II accusandolo di essere sceso a patti con il sultano Al Kamil.

Sin dalle prime Crociate, la Puglia, e in particolare il porto di Brindisi, divenne il luogo principale di imbarco verso l'Oriente per i numerosi cavalieri e pellegrini diretti in Terra Santa. Durante il dominio degli Svevi, il sovrano Federico II, che morì a Fiorentino di Puglia nel 1250, nominò Principe di Taranto suo figlio Manfredi. Nel 1266 Manfredi fu sconfitto nel corso della Battaglia di Benevento da Carlo I d'Angiò e la città fu affidata al Principe Filippo I d'Angiò.

Intorno al 1380, Raimondo Orsini Del Balzo ritornò dall'Oriente ed occupò alcune terre appartenenti al padre Nicola Orsini. Alleandosi con Luigi I d'Angiò, riuscì a ottenere i beni che gli spettavano per eredità e, sempre su consiglio dell'angioino, sposò nel 1384 la Contessa di Lecce Maria d'Enghien. Con questo matrimonio, diventò uno dei più potenti feudatari del Mezzogiorno. Nel frattempo gli Angioini erano stati definitivamente sconfitti nel 1399. Dopo la morte di Raimondello nel 1406, suo figlio Giovanni Antonio Orsini Del Balzo diviene Principe di Taranto nel 1414. Nel 1465 il Principato di Taranto viene annesso al Regno di Napoli, entrando così a far parte del regno aragonese.

L'evento centrale nella storia della Puglia settentrionale, il cui capoluogo fu fissato prima a Lucera e poi a San Severo, è invece legato alla transumanza. Per meglio controllarla e ricavarne delle rendite, nel 1447 gli Aragonesi sfruttarono la collocazione geografica di Foggia imponendo, mediante la dogana delle pecore istituita dapprima in Lucera e presto trasferita a Foggia, il pagamento di una tassa a tutti i pastori che recavano le proprie greggi nel Tavoliere. Ciò non toglie che, per tutto lo scorcio del Medioevo e in età moderna, come centri del potere istituzionale, dell'economia e della cultura in Capitanata, s'imposero Lucera e San Severo, le città più popolose della provincia e suoi capoluoghi (la prima fino al XV secolo, la seconda fino al 1579, e di nuovo la prima dal 1579 al 1806). Solo nel periodo napoleonico, col riordino dell'amministrazione nel Regno, Foggia, pur non essendo il centro principale del territorio, erediterà il loro ruolo politico divenendo capoluogo e dando avvio alla crescita demografica e sociale che la farà diventare una delle più popolose città del Mezzogiorno.

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Aragonesi, Veneziani e Spagnoli

A partire dal XV secolo ebbero particolare fortuna le attività commerciali: la Puglia ospitava influenti comunità di mercanti Veneziani, Genovesi, Ragusei, ecc. Nel 1480, durante la dominazione Aragonese, Otranto fu assediata e invasa dai Turchi guidati da Ahmet Pascià, che provocò l'eccidio di 800 persone che rifiutarono la conversione all'Islam. Fu questo l'episodio più eclatante di una lunga serie di assalti turchi e corsari, che si fecero particolarmente intensi nel XVI secolo. Nello stesso periodo si diede il via alla costruzione di moltissime strutture religiose. Iniziò così una fiorente attività artistica fra XVI e XVIII secolo, che fece di Lecce uno dei centri più significativi del barocco.

Nel 1529 in seguito alla Guerra della Lega di Cognac con l'Assedio di Monopoli, la Repubblica di Venezia prende possesso di Monopoli (25 anni), Trani (19 anni), Brindisi (13 anni), Otranto (13 anni), Mola (14anni) e Gallipoli (1 anno). In questo periodo fioriscono i commerci e alle città pugliesi vengono garantiti diversi privilegi. La Puglia rientra nello Stato da Mar nell'organizzazione dei reggimenti veneziani. Agli inizi del XVII secolo la situazione economica di Taranto si aggravò inesorabilmente: la città ionica non costituì più una base militare importante e le stagnanti attività della pesca e della mitilicoltura, nonché l'attività agricola nelle mani della nobiltà e del clero, determinarono una grave crisi economica che culminò nell'insurrezione popolare del 1647. Nel frattempo la Capitanata era stata devastata dal disastroso sisma del 1627 e dal successivo terremoto del Gargano del 1646, con migliaia di vittime oltre agli immensi danni materiali. La tremenda epidemia di peste del 1656 funestò poi l'intero Regno di Napoli.

Dalla seconda metà del secolo, la Spagna cominciò ad interessarsi maggiormente alle sue colonie dell'America centro-meridionale dalle quali ricavava oro e argento, tralasciando invece quelle del Mediterraneo. In concomitanza con i moti di Napoli, il Re Filippo IV pretese l'arruolamento dei giovani di circa 18 anni. Scoppiò allora anche a Taranto una rivolta popolare guidata da Giandonato Altamura, sedata grazie all'intervento del Duca Francesco II Caracciolo di Martina Franca.

Nel 1734 la Puglia, con la famosa battaglia di Bitonto, passò, insieme al resto del Regno di Napoli, dagli Asburgo ai Borboni. Con la dominazione borbonica durante il XVIII secolo, si ebbe un periodo di crescita economica attraverso la costruzione di nuove strade e lo sviluppo dei porti. Ma il rilancio dell'economia avvenne principalmente durante il periodo napoleonico (1806-1815) grazie a importanti provvedimenti come l'abolizione del feudalesimo, la ristrutturazione dei latifondi e una più adeguata distribuzione delle terre pubbliche. Nel XVIII secolo, la Puglia partecipò attivamente alla rivoluzione napoletana. Dopo l'occupazione militare del cardinale Ruffo, le riforme del decennio francese migliorarono le condizioni di vita in Puglia. Con la Restaurazione e il ritorno dei Borboni, anche la Puglia fu interessata dal diffondersi delle idee risorgimentali che si tradussero nella costituzione di diverse società segrete come la Carboneria. Quando nel 1860 il re Francesco II delle Due Sicilie cadde sotto l'impeto garibaldino, la Puglia fu annessa al regno d'Italia. Circa 100 uomini di Andria, guidati da Federico Priorelli e da Niccolò Montenegro, parteciparono alla spedizione dei Mille di Giuseppe Garibaldi eletto in seguito Deputato del Regno presso il collegio elettorale di Andria.

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Il Novecento e le Guerre Mondiali

Con il Governo di Giovanni Giolitti fu realizzato il mastodontico Acquedotto Pugliese, il più grande acquedotto d'Europa, che permise all'intera Puglia di rimediare allo storico problema della penuria di acqua. I lavori iniziarono nel 1906, dopo che alcuni deputati pugliesi ebbero ottenuto la creazione di una commissione di studio, cui seguirono il finanziamento e l'affidamento dei lavori in concessione, mediante una gara internazionale. La realizzazione dell'opera fu possibile grazie all'utilizzo di ingenti mezzi finanziari (125 milioni di lire dell'epoca) e di materiali, nonostante non mancasse chi pronosticasse l'irrealizzabilità della stessa. Venne inaugurata nel 1914, ma fu effettivamente completato solo nel 1939.

Nel 1913, il 1º maggio, ad Andria viene indetta dalle classi operaie la Festa del lavoro. Da segnalare che il produttore cinematografico Cataldo Balducci presenta il documentario “Grandiosa manifestazione per il primo maggio 1913 ad Andria" (indetta dalle classi operaie) che riprende la festa in 7 quadri, e si può - così - vedere il corteo che percorre via Cavour, via Ettore Fieramosca, piazza Vittorio Emanuele, raggiunge via Garibaldi, la piazza ed il palazzo Municipale, Porta Sant'Andrea. Nel filmato appaiono il monumento a Federico II e il panorama della Città visto dal campanile di Via Carmine.

Durante la Grande Guerra Brindisi contribuì in modo significativo all'evolversi degli eventi bellici, grazie all'ampiezza e alla sicurezza del suo porto. Le industrie meccaniche presenti sul territorio insieme all'Arsenale Militare Marittimo di Taranto lavorarono a ritmi frenetici.

Con l'avvento del fascismo, furono istituite le due nuove province, la provincia di Taranto con decreto del 2 settembre 1923 n.1911, e quella di Brindisi nel 1927[22]. Sempre durante il ventennio, nonostante il rovinoso epilogo del regime, in Puglia furono realizzati insediamenti rurali per migliorare la resa della terra, furono costruite scuole, formati gli insegnanti, realizzati alcuni palazzi istituzionali ed altre importanti infrastrutture. Risale a questo periodo la costruzione del porto di Bari, la realizzazione della Fiera del Levante e furono intensificati e sostenuti traffici commerciali.

Nel corso della seconda guerra mondiale, il porto di Taranto fu teatro della tristemente nota "notte di Taranto". Dopo la destituzione di Mussolini e l'armistizio, la famiglia reale e il governo Badoglio si trasferirono a Brindisi, che quindi divenne capitale del Regno d'Italia a partire dal 10 settembre 1943 fino all'11 febbraio 1944 (data in cui la capitale provvisoria fu trasferita a Salerno). Bisogna ricordare i bombardamenti tra maggio ed agosto del 1943 su Foggia, che causarono più di 20.000 vittime, circa un terzo della popolazione dell'epoca. Dopo l'occupazione anglo-americana, il 1º ottobre, Foggia divenne il caposaldo dell'offensiva alleata nell'Adriatico e nei Balcani. La città è stata poi ricostruita sulle rovine del centro antico e della struttura urbana ottocentesca, secondo i dettami di uno stile post fascista. In seguito alle bonifiche nel Tavoliere la città ha visto accrescere la sua importanza economica e il suo sviluppo urbanistico e demografico. La città ha avuto le medaglie d'oro al valor civile, il 22 novembre 1959, ed al valor militare, il 2 maggio 2006, per i bombardamenti del 1943.

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La Puglia nel Dopoguerra

Le drammatiche condizioni economiche del secondo dopoguerra provocarono sia una ripresa delle lotte del movimento contadino, sia una massiccia emigrazione verso le città industriali del Nord Italia. Nel marzo del 1946, il rifiuto di una ditta locale di Andria di assumere quattro reduci, scoppiò in una rivolta contadina, che vide il sequestro di alcuni proprietari terrieri e l'erezione di barricate. Ci furono scontri cruenti con le forze dell'ordine e sembrò che fosse stato trovato un accordo: ma al momento del discorso che doveva tenere il celebre sindacalista Giuseppe Di Vittorio fu sparato un colpo d'arma da fuoco, facendo rinascere i disordini: fu assaltato il palazzo della famiglia Porro, grandi proprietari terrieri della città e vennero linciate due anziane sorelle (Carolina e Luisa Porro). In seguito a tali fatti fu inviato l'esercito che riuscì a sedare la rivolta con una dura repressione.

Nei primi anni sessanta la regione si dotò di importanti impianti industriali. A Brindisi fu realizzata una grande industria petrolchimica che andava ad aggiungersi alle imprese meccaniche e aeronavali, garantendo opportunità di lavoro a tecnici e operai provenienti dal territorio e dalle province e regioni limitrofe. A Taranto nel 1965 venne inaugurato il “IV Centro Siderurgico Italsider”, uno dei maggiori complessi industriali per la lavorazione dell'acciaio in Europa. Notevole fu anche la crescita economica del Salento, soprattutto grazie alla crescita esponenziale del numero di piccole e medie imprese. Ad oggi, la Puglia è considerata la regione più ricca ed evoluta del mezzogiorno d'Italia, tanto da meritarsi l'appellativo di “California del Sud”.

Il 31 ottobre 2002 e il 1º novembre 2002 due scosse sismiche dell'ottavo grado della scala Mercalli scuotono i monti della Daunia, nel nord della regione, e i vicini monti Frentani in Molise con ingenti danni e 28 vittime. I comuni pugliesi più colpiti sono stati Carlantino e Casalnuovo Monterotaro.

Attualmente la Puglia mantiene un ruolo molto importante nell'agricoltura italiana, con il grande Tavoliere delle Puglie. Importante è anche l'approccio commerciale e industriale, soprattutto nella zona di Bari, Taranto e Brindisi, ma conosce un processo di terziarizzazione dell'economia. L'economia sembra puntare molto anche sulle peculiarità del territorio in funzione del turismo, soprattutto nella zona salentina, in quella garganica e in valle d'Itria oltreché nei centri religiosi di San Giovanni Rotondo, Monte Sant'Angelo e Bari.

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Celenza Valfortone

Celenza oggi

Stemma del comune di Celenza Valfortore
Stemma del comune di Celenza Valfortore

Celenza Valfortore, fino al 1862 chiamata solo Celenza, è un comune italiano di 1.569 abitanti della provincia di Foggia in Puglia.

Panorama di Celenza Valfortore
Panorama di Celenza Valfortore

Celenza Valfortone

Dalle origini all'era moderna

I tre insediamenti preistorici rinvenuti all'interno dei confini comunali (Toppo Capuana, Mulino Dabasso e Madonna delle Grazie) confermano la frequentazione dell'area già a partire dall'Eneolitico, tra 6000 e 2200 anni prima della nascita di Cristo. Gli impianti insediativi crescono e restano attivi per tutta l'Età del Rame e per buona parte dell'Età del Bronzo. Di notevole rilevanza storica è il sepolcreto a fossa terragna contenente una decina di inumati, adulti e bambini, adagiati in posizione fetale, come pure i numerosi e significativi reperti custoditi nell'Antiquarium comunale: olle, ciotole, tazze e vasi con decorazioni geometriche, manufatti litici come le asce-martello ai quali si sommano pregevoli pezzi di epoca Romana. La porzione di un vaso raffigurante la dea Madre (nume di origini agresti e simbolo di fertilità) e la testa di un volatile (effige della dea Uccello), qui rinvenute, sono attualmente esposte al museo archeologico nazionale di Manfredonia.

La tradizione attribuisce la fondazione di un nucleo urbano vero e proprio (Celenna) all'eroe omerico Diomede. L'abitato venne distrutto dai romani nel 275 a.C. a seguito della sconfitta di Pirro, di cui era alleata, e si tramanda storicamente che i suoi resti vennero cosparsi di sale per ordine del Console Manlio Curio Dentato. La popolazione, dispersasi, si radunò sulla collina che tuttora è sede della città e rifondò il centro abitato col nome di Celentia ad Valvam.

Nel periodo bizantino il nome venne modificato in Celentia in Capitanata. Fino all'avvento della Repubblica Partenopea, alla guida di Celenza Valfortore si alternarono diversi feudatari tra i quali si distinsero per un notevole arco di tempo gli esponenti della nobile famiglia pisana dei Gambacorta (XV e XVI secolo). Nel XVI secolo venne cambiato nuovamente il nome in Celenza valle Fortore e si adottò la dea Cerere come simbolo cittadino, simbolo che si ritrova tuttora nel gonfalone della città.

Secondo alcuni storici la valle del Fortore sarebbe il luogo della storica battaglia di Canne, avvenuta nel solstizio del 216 a.C. La battaglia sarebbe scritta sui luoghi: non c'è un toponimo della valle che non sia scritto nella lingua semitica dei vincitori, a cominciare dalla stessa Canne (Qyn, grotte; Hvn, granaio) e dalla attuale Celenza (Klhn-zy, centro della valle).

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Carlantino

Carlantino oggi

Stemma del comune di Carlantino
Stemma del comune di Carlantino

Carlantino è un comune italiano di 941 abitanti della provincia di Foggia in Puglia. Carlantino si adagia lungo una collina della valle del fiume Fortore e sovrasta il lago di Occhito, tra i più grandi invasi artificiali europei. Il comune, situato all'estremo ovest della provincia, al confine con quella di Campobasso, dista in linea d'aria circa 58 chilometri da Foggia e circa 42 da Campobasso. A nord del centro abitato sorge il monte San Giovanni.

Panorama di Carlantino
Panorama di Carlantino

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Carlantino

Dalle origini all'era moderna

Nel territorio comunale, ed in particolare presso monte San Giovanni sono stati ritrovati diversi reperti archeologici di età romana, risalenti ai primi secoli avanti Cristo. Secondo le indicazioni geografiche delle fonti letterarie e storiche, la battaglia di Canne del 216 a.C. tra Annibale e i romani sarebbe avvenuta negli agri di Carlantino e di Celenza Valfortore, sulla riva destra del fiume Fortore.

La fondazione e il nome del paese si devono a Carlo Gambacorta di Giampaolo, nipote di Giovanni. Il toponimo potrebbe essere derivato da "Carlettino", vezzeggiativo con il quale veniva chiamato il fondatore. Questi eredita la Baronia di Celenza nel 1558, all'età di dodici anni e sposa Vittoria Caracciolo, dalla quale ha sei figli: quattro maschi e due femmine. Durante il regno di Filippo II d'Austria (1556-1598), egli spedisce un memoriale documentato al viceré di Napoli, chiedendo di costruire un nuovo abitato nella Terra di Celenza, al centro del suo territorio nel luogo detto la “Nunziata” a breve distanza dall'antico insediamento di San Giovanni Maggiore, poiché i terreni feudali e baronali distano oltre quattro miglia dalla Terra di Celenza e i suoi coloni subiscono continuamente durante l'anno furti e ricatti con gravi danni per il raccolto e il patrimonio zootecnico. Del resto, quando giungono le guardie, i ladri e i malfattori sistematicamente si sono già dileguati nelle fitte boscaglie circostanti. Dopo l'istruttoria della pratica durata alcuni anni, il 28 febbraio 1582 attraverso il viceré Giovanni Zunica, Carlo finalmente ottiene la sospirata autorizzazione.

Nel nuovo Casale, che dal suo nome fu chiamato Carlentino, vanno ad abitare i figli dei coloni che non formano famiglia e quanti dai paesi vicini e lontani cercano un suolo gratuito per la costruzione di una casa e la concessione di terreni da dissodare e coltivare, pagando annualmente la decima al Barone. Carlo Gambacorta, intanto, quasi a ringraziamento dell'avuta concessione e ad auspicio per il futuro sviluppo del nuovo centro abitato, poco distante dalla sua masseria chiamata “il Palazzo”, al Largo Taverna, dà inizio e fa subito costruire la chiesa, che intitola a San Donato, vescovo e martire, in ricordo delle origini familiari pisane. Nel 1595 si ha la prima numerazione, il Casale conta appena dieci fuochi (famiglie). Andrea Gambacorta, secondo figlio di Carlo Gambacorta di Giampaolo e di Vittoria Caracciolo, spiegò nel Casale di Carlentino la sua opera beneficia.

Con pubblico istrumento, rogato il 2 febbraio 1613 dal notaio Giovan Domenico Marrera di Gambatesa confermò i Capitoli ed i Patti stabiliti dal genitore con i rappresentanti del Casale, aggiungendovi nuove convenzioni. Sulla porta contigua alla Chiesa di S. Donato fece incidere la seguente iscrizione nel 1613 per ricordare che Carlentino fu così chiamata dal padre: Philippo III Regnante A.D. MDCXIII Andreas Gambecurt, Celentiae Marchio, Carlentinum a patre nuncupatum, ad eorum nominum perpetuitate templis, ritibus moenibusque ornavit. Attualmente la porta di Carlentino non esiste perché demolita negli anni addietro. La ricorrenza della festa patronale in onore di San Donato il sette agosto viene solennizzata con la franchigia per otto giorni, durante i quali le competenze giuridiche per le cause civili, criminali e miste sono esercitate dal governo locale. Il 4 marzo 1618, a testimonianza della prosperità del Feudo, egli acquista la vicina Terra di Macchia dalla famiglia del conte De Regina.

Nel corso del XX secolo, il paese è stato affetto da una robusta emigrazione. Numerosi, in particolare, furono coloro che negli anni sessanta emigrarono in Argentina, nella provincia di Buenos Aires, dove è tuttora presente una cospicua comunità carlantinese.

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San Pietro

L'isola di San Pietro nel dopoguerra

Durante la Seconda Guerra Mondiale l'isola di San Pietro vide la realizzazione di una serie di installazioni militari a difesa della città di Taranto. Nel dopoguerra l'isola divenne la sede del distaccamento Marina della stazione semaforica. Fino al 1957, alcune spiagge furono riservate al personale militare e civile della Difesa e alle loro famiglie. Tuttavia, a causa dello sviluppo degli stabilimenti balneari a Capo San Vito, più facilmente raggiungibili da Taranto con un traghetto della Marina Militare, pian piano quelle spiagge vennero abbandonate e le relative strutture smantellate. Oggi delle antiche costruzioni di San Pietro e San Paolo restano solo una serie di rovine immerse nella splendida e profumata macchia mediterranea.

L’arco della spiaggia di San Pietro
L’arco della spiaggia di San Pietro
com'era nel dopoguerra e com'è oggi
Foto Murroni

L’isola di San Pietro ...e la “GIS” anni 1954-1957

La partenza della GIS1 da Taranto era dal pontile Rota, sul lungomare, con la corsa delle 7 o delle 8. Noi eravamo mattinieri, ma c’erano corse anche al pomeriggio. L’arrivo dopo la traversata del mar Grande al pontile di San Pietro, dove acque chiarissime mostravano le enormi cozze cresciute sui pilastri del pontile. Da lì piegando a sinistra alla fine del pontile, la passeggiata sino alle cabine e alla spiaggia, attraverso la pineta e il tappeto di aghi di pino. L’odore forte della resina e i gusci vuoti delle cicale attaccate alle cortecce. Il frinire delle cicale nei pomeriggi di San Pietro era addirittura assordante. Si passava davanti al bungalow in legno tutto aperto ai lati, dove il Circolo organizzava la mensa a mezzo giorno, tutto in stile direi coloniale british-italiano-marina, con i maestrini in giacca bianca e tutto il servizio.

Ah! sane abitudini del Sud! Detto da chi, come me, ha una vita passata al Nord. In mezzo alla pineta verso il centro della spiaggia c’era pure un piccolo bar dove i primi gelati anni ‘50 erano conservati in una ghiacciaia con le stecche di ghiaccio. La cosa più interessante era che lì facevano le granite tirate sulle stecche di ghiaccio con il famoso attrezzo (credo che si chiami famigliarmente grattachecca). Non c’era ovviamente elettricità e il telefono al bar era il classico telefono nero stile Marina di tipo “magnetofonico”: si doveva girare una manovella per produrre quel po’ di corrente per farlo funzionare.

Davanti alla spiaggia a circa 50m dalla riva e che a noi sembravano una enormità era sistemata una fila di gavitelli per le barche. Al centro una piattaforma galleggiante di legno con un trampolino da tre metri. Ai gavitelli arrivavano ad ormeggiarsi per la giornata le barche a vela dalla sezione velica della Marina posta sul lungomare a Taranto. …[omissis]… Sul bordo della spiaggia e ai margini della pineta erano allora sistemate magnifiche e ampie cabine di legno, pitturate in bianco e blu e azzurro.

Le bellissime cabine avevano grandi verande di legno sul mare e le pareti erano istoriate con figure di alghe, pesci, conchiglie. La spiaggia dopo un piccolo tratto di acqua con sabbia, dove si toccava, continuava subito con una prateria di posidonie che davano al mare un colore scuro e che spaventava noi bambini. All’interno della prateria si trovavano granchi, pesci, frutti di mare (con bellissime conchiglie), oloturie ed altro: un vero paradiso naturale.


1 La GIS come la chiamavamo al femminile tutti, ma proprio tutti, in effetti avrebbe dovuto essere nominata al maschile. Si tratta dell'acronimo o sigla Galleggiante Inseguimento Siluri e in particolare proprio GIS 62: il mezzo trasformato per trasporto frequentatori di San Pietro anni ‘50 a Taranto. La sigla GIS (o G.I.S.) fu usata per indicare una grande varietà di mezzi piccoli della Marina. Fu studiata per mascherare nel dopo guerra imbarcazioni e piccolo naviglio della Marina che si preferiva non mostrare di avere. Vi sono motoscafi, mezzi trasporto personale, piccole vedette e altro. Probabilmente per tutti questi altri mezzi, imbarcazioni e vedette, la sigla poi divenne con significato diverso: Galleggiante Impieghi Speciali. La parola galleggiante non deve trarre in inganno: a quel tempo era stato scelto come sinonimo di imbarcazione e manteneva il low profile desiderato. Quanto al nostro GIS 62 trasformato, esso garantiva ottima sicurezza e stabilità elevata per trasporto persone perché aveva un ponte di coperta largo (una prua come una piccola portaerei) ed era stato progettato per portare carichi pesanti in coperta. La trasformazione sarà sicuramente stata fatta a Taranto dalle risorse locali. I dettagli di questa operazione oggi ci sfuggono. Costruzioni degli anni '40 che hanno continuato a fare servizio per parecchi anni.

La GIS 62 nel canale navigabile in entrata nel Mar Piccolo
La GIS 62 nel canale navigabile in entrata nel Mar Piccolo
per tornare all’ormeggio notturno,
dopo il servizio tra pontile Rota e isola di San Pietro
Anni 54-57
Foto dal sito Betasom.it

Antonello Gamaleri,
«L’isola di San Pietro ...e la “GIS” anni 1954 -1957»,
in «Marinai d’Italia», Maggio 2014.
pag. 14-16.