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Data di nascita 17 agosto 1931 |
Periodo di riferimento 1931-vivente |
Data della morte vivente |
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Cosa si sa
Maria Teresa Giliberti, detta Maresa, nasce a Roma il 17 agosto 1931 da Filippo e Carolina Piana. Prima di tre figli: Maria Teresa, Orazio e Paolo. Il 2 febbraio 1956 sposa Danilo de Judicibus (❀1930-2019✟), ufficiale pilota in SPE dell'Aeronautica Militare. La coppia ha due figli:
- Dario de Judicibus (❀1960-vivente),
- Stefania de Judicibus (❀1965-vivente).
Vive attualmente a Genova.
La giovinezza
Nata a Roma il 17 agosto 1931, Maresa passa l'infanzia spostandosi da una città all'altra, com'è per tutti i figli di ufficiali dell'Esercito e di militari in genere. Prima a Pavia, all'età di soli tre anni, dove nasce il primo fratello, Orazio, poi a Camnago, nel comune di Lentate sul Seveso, un paio di anno dopo, dove nasce il secondo fratello, Paolo. Del periodo trascorso a Pavia, uno dei ricordi che ha più vividi è il presepe della vicina, dove ci sono alcune statuette di galline. Maresa, abituata fin da piccola a vedere nel presepe solo pecorelle, resta colpita dalla cosa, apparentemente insignificante per un adulto, ma sorprendente per una piccina di poco meno di tre anni. Di Camnago, l'unico ricordo che le è restato è di un giorno in cui la madre era stata invitata a pranzo da un'amica e, per l'occasione, aveva comprato alla piccola Maresa un golfino verde intessuto con dei fili d'argento di cui la bambina era diventata subito orgogliosa.
Da Camnago la famiglia si trasferisce poi a Parma, in una villa che dava su un bel viale alberato. Lì Maresa conosce e diventa amica della figlia dell'industriale del caffé Borghetti, Valeria. Da Parma il padre Filippo viene trasferito prima a Torino, dove Maresa frequenta la 1ª elementare. Di Torino Maresa ricorda che la mamma dava 20 lire all'attendente per fare la spesa e che questi la accompagnava tutte le mattine a scuola vestita di tutto punto con un cappottino blu con i bottoni d'oro e un cappellino da marinaio bianco e blu con un nastro gros-grain che le scendeva sulla nuca con le due punte. A Torino abitano in via Luigi Cibrario e la madre, spesso, la porta al Parco del Valentino, cosa che a Maresa piace moltissimo. Inoltre va a giocare spesso con una cuginetta, Leila, un po' più grande di lei, figlia di una delle sorelle di Carla, zia Rina. La zia aveva sposato un ufficiale di frontiera, aiutante del comandante della Scuola Militare di Torino. I due avevano solo una figlia, Leila, appunto, e abitavano nella casa di servizio della scuola, in Corso Vinzaglio. A Natale le due famiglie si riunivano lì e le bambine giocavano sulla grande scalinata del palazzo. Un altro ricordo di Torino sono i grandi carri che portavano il carbone per le caldaie, trainati da cavalli grandi il doppio di quelli a cui era abituata la ragazzina. D'estate la famiglia va per almeno un mese al mare ad Alassio, dove zia Rina ha una villa, ed è qui che Maresa e Carla, mentre stanno passeggiando sul bagnasciuga, vengono investite da un'onda anomala che le sbatte a terra. Da allora Carla non vorrà più fare il bagno a mare.
Da Torino la famiglia di Maresa viene trasferita a Firenze dove la bambina frequenta la 2ª elementare. Di quel periodo Maresa non ricorda praticamente quasi nulla. Da lì Filippo viene trasferito ad Ancona, dove restano due anni e dove Maresa frequenta la 3ª e la 4ª elementare. Quando il padre viene trasferito in Albania, a Tirana, essendoci la guerra, Carla e i suoi figli si trasferiscono inizialmente a Solofra, presso l'abitazione di famiglia, dove Maresa frequenta la 5ª elementare. A Solofra, tuttavia, Carla non si trova a suo agio a casa delle zie. Carla è una donna piemontese, ha lavorato come impiegata fino a diventare capo ufficio, è emancipata e indipendente. Le zie invece appartengono alla vecchia aristocrazia decaduta borbonica e hanno ancora una mentalità antiquata. Così, con grave scandalo del resto della famglia, Carla affitta un appartamentino con un bel giardino presso tre sorelle, una vedova e due zitelle, molto cortesi e gentili. A Solofra, tuttavia, non restano a lungo e presto Carla e i figli raggiungono Filippo a Tirana dove Maresa, già grandicella, inizia a frequentare il 1° anno della scuola media inferiore. Ben presto però Carla e i tre figli devono trasferirsi di nuovo ad Ancona, prima in via Francesco Rismondo, quindi in un appartamento di servizio della Caserma Stamira. Ad Ancona, Maresa termina l'anno scolastico.
A scuola la chiamano l'albanese, cosa che la fa molto arrabbiare. Lì scopre per la prima volta la gomma americana. Le amiche, per scherzo, le dicono che le gomme americane crescono su una pianta che si trova nel giardino di una vecchia contessa e Maresa, più volte, si ferma fuori dalla villa della donna per osservare gli alberi e scoprire quale sia quello di cui le hanno parlato le sue amichette. In caserma, invece, c'è uno splendido cavallo di cui s'innamora, chiamato Fiorello. È tuttavia ancora troppo piccola per poterlo montare.
Nel frattempo il padre viene trasferito in Sicilia, al comando di un reggimento. Così Carla si ritrova da sola a tirar su tre bambini piccoli, in piena guerra e con tutte le difficoltà che questo comporta. Le scuole, inoltre, vengono chiuse, per cui i ragazzi devono studiare a casa. È allora che due sorelle del padre, due zie che abitavano a Solofra, Peppina e Alfonsina, salgono su ad Ancona e, d'accordo con la madre, prendono i due bimbi più piccoli, Orazio e Paolo, e li portano in Campania. Maresa rimane così sola con la madre ad Ancona.
Dai ricordi di
Maria Teresa Giliberti.
Il periodo della guerra
L'appartamento presso il quale Carla e Maresa abitano ha le scale esterne che danno su un giardino, dal quale partono quelle dell'appartamento dell'edificio di fronte dove abita un collega del padre, un maggiore dell'Esercito. Una notte Maresa sente dei rumori provenire da fuori, si affaccia e vede dei marinai portare di soppiatto delle casse su per le scale, nell'appartamento del maggiore. Allora la ragazza non poteva saperlo, ma si trattava di un piccolo “tesoro” proveniente dal transatlantico Rex, diretto a Trieste, dove poi venne affondato dalla Royal Air Force. In pratica è testimone di un banale “furto d'argenteria”. Purtroppo il maggiore si accorge della ragazza e della madre, che si era a sua volta svegliata. Preoccupato che potessero rivelare quello che avevano visto, la mattina dopo l'uomo si reca dai tedeschi e denuncia Carla di essere una partigiana. Nel giro di poche ore i soldati tedeschi si recano presso l'abitazione delle due donne, le prelevano e le arrestano. Inutili sono le proteste della madre di Maresa, che peraltro non parla tedesco, anche perché i nazisti non parlano italiano. Il comandante nazista della Gestapo sta per firmare il foglio di deportazione delle due donne verso un campo di concentramento in Germania, quando interviene un gerarca fascista, che faceva da interprete, al quale tutta la storia suona decisamente strana e che forse sa qualcosa di più su quello che è effettivamente successo. Il gerarca conosce personalmente il padre di Maresa e sa che è un ufficiale integerrimo. Così si fa dare da Carla una foto del marito e convince il comandante tedesco che la denuncia è una sorta di rappresaglia da parte del maggiore che aveva fatto delle avances a Carla, che le aveva rifiutate. Sebbene non sia la verità, per il nazista, che ha scarsa considerazione degli ufficiali italiani, è sicuramente una storia più verosimile di quella di un fantomatico furto di porcellane e altri oggetti di valore recuperati dal Rex, cosa della quale peraltro le due donne non sono ancora al corrente. Lo avrebbero scoperto solo in seguito, anche perché i marinai hanno la tendenza a chiacchierare, specie al bar.
Siamo nell'autunno del 1943. Gli aerei americani passano spesso sulla città di Ancona per andare a bombardare in Germania. Passano sul Conero, il monte a sud-est di Ancona e si dirigono a nord. Quando suonano le sirene, la gente mette al sicuro nei rifugi i bambini più piccoli ma gli adulti restano, continuando a fare le loro faccende in strada, negli uffici o in casa. D'altra parte mai una bomba era caduta sulla città e non c'era motivo di pensare che succedesse. Una tarda mattinata del 1° novembre, più o meno verso ora di pranzo, suonano le sirene. Carla e Maresa si recano presso il rifugio della caserma dove abitano; il resto della città continua la sua vita come se nulla fosse, ma questa volta le cose vanno diversamente. Due incursioni consecutive colpiscono la città, una alle 12:16 e una alle 12:55. Sono bombardieri bimotori B-25 Mitchell dell'aeronautica americana, l'USAAF, ognuno in grado di trasportare oltre una tonnellata di ordigni esplosivi. La seconda incursione colpisce i rioni Porto, San Pietro e Centro, con oltre un centinaio di bombe. Ed è proprio al centro che si trova la caserma Stamira dove si è rifugiata Maresa con la madre. Una bomba colpisce in pieno il rifugio il cui ingresso rimane sepolto dalle macerie. All'interno la luce è andata via e l'aria è satura di polvere e quasi irrespirabile. Le due donne, assieme agli altri rifugiati si ritrovano sepolte vive. Di quel tragico momento Maresa ricorda di avere occhi, bocca e naso pieni di terra e di polvere e di non riuscire più a respirare e poi il buio e il silenzio, un'oscurità totale senza neppure un filo di luce. Per Maresa è un'esperienza che la segnerà per tutta la vita. Da quel momento non riuscirà più a entrare neppure in un ascensore senza sentire un senso di oppressione claustrofobica. Essendo una caserma, tuttavia, ed essendo molti camerati rimasti sepolti dalle macerie, l'ingresso viene liberato alcune ore dopo dai soldati che traggono in salvo le due donne e quanti erano rimasti sepolti dall'esplosione. Quel giorno più di millecinquecento civili innocenti perdono la vita.
Dopo i bombardamenti la maggior parte della popolazione lascia la città per rifugiarsi nelle campagne circostanti, un esodo simile a quello dei londinesi quando Hitler bombardò la città con le V1 e V2. Carla e Maresa vengono ospitati presso il complesso agricolo dei Moroder, nel Conero, assieme ad altri rifugiati. Fino a quel momento nessuna delle due sa cosa sia successo a Filippo, il padre, disperso in combattimento. Il periodo presso l'abitazione dei Moroder lascia a Maresa un bel ricordo. Fa amicizia col figlio del proprietario, Giorgio. Ci sono altri bambini nella villa e la sera giocano a Monopoli tutti insieme. Tuttavia si tratta solo di una sistemazione temporanea, un punto di smistamento.
Non appena si rende disponibile, infatti, Carla e Maresa vengono trasferite presso una casa di alcuni contadini a Monteacuto (AN). Il cambiamento è scioccante per la piccola Maresa. Nella casa non c'è neppure un bagno e bisogna fare i propri bisogni in un vaso, per poi svuotarlo in un tubo che porta gli escrementi in una fossa settica. La prima settimana la bambina non riesce neppure ad andare di corpo.
Nel frattempo la guerra sta volgendo a favore degli alleati e i tedeschi iniziano a ritirarsi verso nord. È qui che Maresa diventa testimone di un evento che le rimarrà per sempre impresso nella memoria. Un giorno arriva in paese una lunga colonna di soldati tedeschi. Stanchi e affamati, molti anche feriti, marciano in silenzio lungo la strada che porta ad Ancona e da lì a Bologna. Sono quasi tutti o ragazzini neppure diciottenni o vecchi. Nonostante i tedeschi non fossero certo amati da quelle parti, gli abitanti del paesino si impietosiscono e danno loro quello che possono: un po' d'acqua, del pane, della frutta. Non sono più l'esercito invincibile che incuteva paura ma solo dei ragazzi e dei vecchi spaventati finiti senza sapere come in una guerra forse già persa al loro arruolamento.
Monteaucuto si trova in cima a un colle e da lì la strda scende in una vallata. Attraversato il paesino, la colonna si avventura nella valle, sotto lo sguardo degli abitanti del villaggio, fra cui Maresa. Ma è a quel punto che compaiono dei caccia americani che scendono in picchiata e iniziano a mitragliare i tedeschi. Allo scoperto, senza più neppure la forza di reagire, l'intera colonna è fatta letteralmente a pezzi. Non si salva nessuno. Alla fine del massacro gli aerei si allontanano e le donne scendono nella valle. Qui prendono quello che resta dei corpi dei soldati morti per dare loro sepoltura. Alcuni corpi sono così devastati che devono raccogliere i pezzi e metterli nelle scatole di cartone delle scarpe per poterli seppellire nella fossa comune.
Intanto da Filippo nessuna notizia. Solo in seguito Carla verrà a sapere che era stato fatto prigioniero. Nel frattempo bisogna tirare avanti e Carla deve recarsi regolarmente ad Ancona per ritirare lo stipendio del marito. Non è possibile farlo in treno e non hanno certo un'automobile, per cui si arrangia come fanno un po' tutti, ovvero sfruttando i camion che trasportano le merci dalla campagna verso la città. Maresa intanto studia a casa, perché la maggior parte delle scuole sono chiuse, tanto che per fare privatamente l'esame di terza media, deve arrivare fino ad Osimo (AN). Nel frattempo Filippo, che comandava un reggimento a Palermo, quando gli americani sbarcarono in Sicilia, cerca di raggiungere il resto dell'esercito in Calabria. La ritirata tuttavia non riesce e viene catturato dagli americani in Sicilia e da lì trasferito in un campo di prigionia in Algeria. Per la famiglia, che di tutto ciò non sa nulla, risulta disperso e tale viene ufficialmente dichiarato. È un grosso problema: dato che per il regime c'era la possibilità che i soldati dispersi fossero in realtà disertori, quando un soltato veniva dichiarato tale, la famiglia perdeva il diritto allo stipendio. Così la situazione economica di Carla e Maresa si complica ulteriormente.
Un giorno, Carla, scendendo da un camion, si rompe la caviglia e devono portarla in ospedale ad Ancona. Così Maresa resta sola. Sta studiando in cucina quando sente dei rumori. La porta si apre ed entra un soldato di colore nella casa, americano o nordafricano. Maresa non aveva mai visto una persona di pelle nera e si spaventa moltissimo, anche perché il soldato è grande e grosso. Si alza in piedi e si mette dietro il tavolo. Alle spalle ha una madia dove c'è il pane. Prende il coltello per tagliare le pagnotte e sventolandolo davanti a lei e strillando a quanta più voce possibile lo punta verso l'uomo. Questo spaventato forse dal fatto che le urla possano attirare i vicini, si allontana e non torna più. Dopo qualche giorno Carla torna a casa da una Maresa ancora scioccata per l'accaduto. Così le due donne lasciano la casa dove erano ospitate e si trasferiscono a Sirolo (AN), un piccolo borgo che si affaccia sulla Riviera, nel Conero.
Qui sono ospitate in un appartamentino dalla madrina della cresima di Maresa e da suo fratello, vedovo. Si tratta di una coppia molto religiosa, praticante, che va tutte le domeniche a messa e parla in continuazione di religione. Intanto alcune scuole riaprono. Maresa va ogni mattina a Numana (AN) da sola, a piedi. Sono un chilometro all'andata e un chilometro al ritorno. Siamo nel 1944 e Maresa ha ormai 13 anni compiuti. È una ragazzina, anzi, una piccola donna, come tutte quelle della sua età, a causa della guerra.
Nonostante la situazione fosse molto difficile, sia sul piano sociale che economico, tuttavia, è pur sempre una bambina e i bambini hanno bisogno di svagarsi ogni tanto, e non solo loro. Così da Sirolo, il pomeriggio, quando è bel tempo, si va al mare. Una mattina Maresa è sulla spiaggia assieme a un'amica quando arrivano alcuni aerei alleati che puntano verso la costa. Entra in funzione l'artiglieria contraerea che inizia a sparare sui due velivoli alcuni proiettili shrapnel. Si tratta di strumenti di morte micidiali, proiettili cavi riempiti di sfere di piombo o acciaio muniti di una carica di scoppio collegata a una spoletta a tempo. La spoletta viene regolata in modo tale da garantirne l'esplosione prima che il proiettile impatti col suolo o col bersaglio. Uno dei proiettili esplode non lontano dalle due ragazze. Una scheggia ferisce Maresa a un polpaccio mentre un'altra trapassa un polmone della sua amica. Arrivano subito i soccorsi. Maresa non è grave ma così non si può dire per l'amica. Purtroppo non c'è modo di trasportarla in paese per curarla, perché l'ospedale si trova in alto rispetto alla costa ed è troppo pericoloso spostare la ragazza. Lì accanto, tuttavia, c'è un ricovero per le barche. L'amica di Maresa viene portata lì e curata e lì resterà per alcuni giorni finché non sarà sicuro spostarla e ricoverarla in ospedale.
Qualche tempo dopo, mentre Carla e Maresa sono a casa da sole, vedono arrivare trafelati i loro due ospiti che dicono loro di nascondere subito tutto il pane che c'è in casa. Carla è perplessa, chiede spiegazioni. Cosa è successo? I due dicono loro che la sera prima non era arrivata la farina ai forni e questi non avevano potuto fare il pane, così il sindaco aveva ordinato che si andasse di casa in casa e si prendesse una parte del pane del giorno prima per poterlo dare alle famiglie più povere. Carla non riesce a credere alle proprie orecchie. Risponde che le sembra più che giusto e che se c'è qualcuno che ha bisogno, non c'è motivo perché non possano dividere quello che hanno, ma i due non vogliono sentire ragioni. Maresa è sconvolta: non riesce a credere che quelle due persone così religiose si comportino in quel modo proprio quando è necessario mostrare compassione. Da bambina, semplice quanto lineare nel suo modo di ragionare, si dice che se quelli che vanno in chiesa sono tutti così, allora meglio non andarci proprio a messa e vivere piuttosto secondo i valori cristiani nella vita di tutti i giorni. Cresciuta, Maresa metterà in pratica questo proposito e vivrà la sua vita come cristiana non praticante.
Qualche tempo dopo un secondo episodio la rafforza in questa convinzione. La bambina si ammala di tifo. Viene curata come è possibile ma i farmaci scarseggiano. Alla fine Maresa guarisce ma è debolissima e non riesce a mangiare. Carla è molto preoccupata perché la bambina non sembra rimettersi. Così il dottore le suggerisce di andare dal prete che ha le arnie e di farsi dare un barattolino di miele. Allora la donna si reca dal parroco ma questi si rifiuta di darle anche un solo vasetto perché sono tutti già prenotati dai commercianti di Ancona e lui non si può privare neppure di uno. Così Carla torna a casa a mani vuote. Il giorno dopo il prete si reca ad Ancona con la moto per consegnare il miele ai negozianti della città, ma sbanda e va a sbattere contro un albero e muore. Maresa alla fine si riprende e, venuta a conoscenza di quello che era successo, si convince ulteriormente che per lei, il rapporto con Dio, sarà del tutto personale. Con la Chiesa non ci vuole avere nulla a che vedere.
Intanto la guerra è praticamente finita e a Sirolo arrivano i partigiani. Nel paesino c'era una famiglia che aveva alcune terre. Era brava gente, che non si era mai interessata di politica. Alcuni dei partigiani però erano dei contadini che avevano lavorato in quei campi e così accusano i proprietari di essere dei fascisti, li imprigionano e poi li fucilano, per poi appropriarsi delle loro terre. La cosa impressiona molto Maresa che del fascismo sapeva poco o niente, per cui per il resto della sua vita manterrà comunque un giudizio negativo nei confronti della Resistenza a causa di quel singolo episodio di cui è stata testimone.
Carla e Maresa rimangono a Sirolo finché non finisce la guerra. A Sirolo arrivano gli Alleati e in particolare un reparto di polacchi. Fra questi c'è Yuri, un giovane polacco che inizia a insegnare l'inglese a Maresa. La bambina si innamora di quella lingua tanto che, una volta adulta, si mette a leggere praticamente solo romanzi in inglese e diventa così brava da imparare non solo l'inglese scritto, ma a distinguerne le varianti, il britabnnico, l'americano, l'australiano e persino quello antico e determinati gerchi specifici, pur non acquisendo mai la capacità di parlare e comprendere la lingua orale. Alla fine Yuri lascia Sirolo. È preoccupato per i genitori perché la Polonia è stata occupata dai Russi e la sua famiglia, che fa parte dell'alta borghesia polacca, è stata deportata in una colonia agricola.
È in quel periodo che Carla e Maresa restano di nuovo sole perché i loro due ospiti tornano al loro paese d'origine: San Severo (FG). Le due donne restano così nel piccolo appartamento ed è lì che le ritrova Filippo quando, liberato dagli americani, torna ad Ancona in cerca della famiglia.
Dai ricordi di
Maria Teresa Giliberti.
Il dopoguerra
Quando la famiglia, riunita, torna ad Ancona, scopre che la loro casa era stata utilizzata dal Comando Tedesco come centro di comando. Così, quando i tedeschi se ne erano andati, la gente era entrata in casa e aveva portato via tutto, inclusa la vasca da bagno. Senza soldi e senza casa, a Filippo non resta che chiedere il trasferimento e ottiene il comando presso il Genio della Marina di Taranto. Una notte i tre salgono su uno dei camion che fa la spola lungo la costiera adriatica e raggiungono la Puglia.
Così, nel dopoguerra Filippo, Carla e Maresa, assieme a Paolo e Orazio che li raggiungono da Solofra, si trasferiscono a Taranto, in un grande appartamento di servizio del Genio. Qui Maresa inizia a frequentare il ginnasio all'istituto Archita di Taranto. A scuola ha un banco posto accanto al muro che separa il ginnasio dal liceo, dove studiano i ragazzi più grandi. Nel muro c'è una grossa presa bianca e Marresa stacca la presa e fa un buco nel muro per raggiungere la classe accanto. Così, quando ha i compiti in classe, approfitta della sua influenza su alcuni ragazzi che le ronzano intorno per passare il testo in latino o in greco e farselo tradurre. È in quegli anni che Maresa scopre il tennis. Si innamora di quello sport che continuerà a praticare ben oltre i sessant'anni.
È qui che Maresa conosce Danilo che diventerà poi suo marito. L'incontro tuttavia non è dei più romantici. Maresa ha 15 anni e frequenta il Circolo della Marina. Nel pomeriggio va a lezione di tennis e, come al solito, finita la lezione, raccoglie le palle sparse un po' per tutto il campo. È una di queste volte che, mentre sta raccogliendo una palla, sente una voce provenire dagli spalti: «Non si capisce qual è la palla: se quella che rotola davanti o quella che corre dietro.» Chiaramente è Danilo che all'epoca è una vera peste, insomma una sorta di “cattivo ragazzo”. In quel periodo Maresa ha una vera e propria corte di ragazzi che le vanno dietro e si mette con un certo Franco De Giosa. La ragazza non sopporta invece Danilo: lo considera arrogante, borioso e presuntuoso.
In effetti Danilo sembra essere il classico figlio di papà. Ad esempio, tutti i sabato pomeriggio c'era il cinema e per la prima volta era possibile vedere, per giunta doppiati, tutti quei film americani che sotto il regime fascista erano stati proibiti. Mentre tutti gli altri ragazzi, compresa Maresa, stavano in fondo alla sala, Danilo stava davanti accanto al papà ammiraglio, insieme agli altri ufficiali superiori. La guerra sembra ormai lontana. D'estate si fa il bagno all'Isola di San Pietro, alla quale si arrivava con la “GIS”1. Si parte la mattina e poi si passa l'intera giornata fra la pineta e la spiaggia attrezzata. Così Maresa e Danilo, volenti o nolenti finiscono per frequentarsi e alla fine il carattere più spregiudicato di quest'ultimo, rispetto a quello più riservato di Franco, che non aveva mai neppure provato a baciare Maresa, finisce per avere la meglio. I due si vedono spesso al Circolo della Marina ma lo devono fare di nascosto perché Filippo è molto severo e non permetterebbe mai a Maresa, allora quattordicenne, di frequentare un ragazzo. Spesso, quando arriva il padre al Circolo, Maresa sale con Danilo sul tetto dell'edificio. Una volta, i due stanno camminando a braccetto per strada quando hanno la sventura di incrociare proprio Filippo. Questi, infuriato, riporta a suon di schiaffoni la figlia a casa e le proibisce di vedere più Danilo, cosa che tuttavia Maresa si guarda bene dal fare.
Entrambi di bell'aspetto, con un buon livello di cultura e appartenenti a famiglie borghesi, i due finiscono per innamorarsi e a far accettare alle rispettive famiglie la loro relazione. Alla fine si fidanzano, ma essendo entrambi figli di militari, non è destino che restino a lungo a Taranto. Mentre infatti Danilo entra nel 1949 all'Accademia Aeronautica, corso Grifo II2, la famiglia di Maresa si trasferisce a Settignano (FI) proprio l'ultimo anno prima della maturità. Maresa infatti frequenta il terzo liceo classico e fa l'esame a Firenze dove si iscrive al primo anno della facoltà di Scienze Naturali, Matematica e Fisica. Danilo approfitta delle rare licenze per raggiungere la fidanzata in Toscana. Filippo, tuttavia, deve trasferirsi di nuovo, questa volta a Napoli, dove Maresa si iscrive al secondo anno presso l'università “Federico II”. Questo dà la possibilità a Danilo e Maresa di tornare a frequentarsi regolarmente tanto che i due si sposano nel febbraio del 1956. Maresa tuttavia non riesce a seguire sempre le lezioni regolarmente a causa di tutti questi trasferimenti. Quando si sposa non si è ancora laureata. Così, mentre il padre, Filippo, viene trasferito a Roma, Danilo viene mandato a Brescia, presso la Sesta Aerobrigata. Maresa lo segue. Continua a studiare e si reca a Napoli solo per dare gli esami. Si laurea nel 1957 e inizia ad insegnare nel vicino liceo di Botticino (BS).
Ed è proprio una mattina che Maresa si sta recando a Botticino, che si verifica un incidente. Maresa aspetta un bambino. Dietro di lei c'è un ragazzo con uno zaino dal quale sporge una lunga riga. I due sono in piedi, la corriera sta per fermarsi quando fa una brusca frenata. La riga colpisce in pieno alla schiena la donna. Il giorno dopo abortisce. Il figlio avrebbe dovuto chiamarsi Sergio, come il padre di Danilo, ma non sarà quello il nome del primogenito. Quattro anni prima Dario, fratello di Danilo, anche lui pilota ma per la Marina, sta effettuando il suo terzo volo, l'ultimo prima di prendere il brevetto. Il serbatoio avrebbe dovuto essere pieno, ma non è così. Forse una perdita, forse, qualcuno aveva usato il velivolo prima di lui e non aveva fatto il rabbocco di carburante, fatto sta che l'aereo precipita e Dario muore. Quattro anni dopo, quando nasce il primogenito di Danilo e Maresa, gli viene dato il nome dello zio pilota. Dario non ha neppure un anno e a Danilo viene chiesto di recarsi negli Stati Uniti per una serie di corsi di addestramento. Maresa lo segue ma non se la sente di portare il figlio piccolo e così lo lascia ai genitori, Filippo e Carla. Così Dario rimane per un anno con i nonni, tanto che quando danilo e Maresa tornano, non li riconosce.
Col ritorno in Italia, tuttavia, le cose non si stabilizzano: anche Danilo, come Filippo, è un ufficiale; se quest'ultimo nel Genio dell'Esercito, lui in Aeronautica. Così ricomincia per Maresa l'odissea dei trasferimenti, quasi tutti sulla costa adriatica: Cervia, Rimini, Porto Potenza Picena, Cesena. È la notte dell'8 giugno 1964 a Rimini, sono le 19. Maresa e Dario sono a casa, in una piccola abitazione poco distante dalla costa. Il vento fa sbattere le tapparelle così forte che i due se ne stanno abbracciati impauriti. Non hanno mai visto un vento così. In seguito si saprà che quella sera aveva superato i 100km orari. Mezz'ora dopo un muro d’acqua si solleva dal mare riversandosi sulla spiaggia, cancellando letteralmente stabilimenti balnearei, albergi, negozi, abitazioni e magazzini, la più violenta tromba d'aria che la regione avesse mai sperimentato nel XX secolo. Poco prima delle 23 era già tutto finito. La mattina dopo Dario e Maresa si recano in spiaggia: ci sono decine di carcasse di imbarcazioni sparse un po' dapertutto. Un disastro. Ed è proprio a Rimini che qualche mese dopo, nell'aprile del 1965, Maresa dà alla luce una bambina, Stefania.
Qualche tempo dopo Danilo viene trasferito a Roma, presso il ministero, incarico che poco gli si confà, essendo da sempre appassionato di volo e poco incline al lavoro d'ufficio. A Maresa viene proposto un posto d'insegnante a Tivoli ma con due bambini piccoli e il marito quasi sempre fuori diventa difficile continuare a insegnare. Così Maresa lascia il lavoro e si dedica ai piccoli e alla casa. Nel frattempo Danilo ha lasciato l'Aeronautica con una scelta molto sofferta, per entrare in Alitalia. A lui piace volare: non gli interessa la carriera. È a Roma che crescono Dario e Stefania, fino al 1978, quando Dario prende la maturità e si reca prima a Pisa, poi a Firenze, per studiare Fisica. I ragazzi sono ormai grandi e Maresa può dedicarsi adesso, oltre che alla casa, cosa che ama molto, al lavoro a maglia, per il quale è molto dotata; a tessere, usando un telaio in legno; e al gioco del bridge, in cui è decisamente brava. Danilo sta spesso fuori per lunghi periodi, soprattutto quando viaggia sul lungo raggio, e i ragazzi ormai sono sempre meno a casa. Passa il tempo, Danilo va in pensione e alla fine si ammala di Alzheimer. All'inizio non informa la famiglia, poi la cosa diventa evidente. Dario nel frattempo è tornato a Roma ma, lavorando per la IBM, è molto spesso in viaggio. Maresa da sola non può gestire il marito che sta perdendo rapidamente la memoria, così la figlia, Stefania, che nel frattempo si è sposata ed è andata a vivere a Genova, li convince a vendere la casa e a prenderne una in affitto a pochi passi da dove abita lei, in via di Porta Soprana. Nel 2019 Danilo muore. È un duro colpo per Maresa che lo conosce da quando aveva 15 anni, ma la vita va avanti.
Dai ricordi di
Maria Teresa Giliberti.
1 Vedi la scheda sull'Isola di San Pietro nella sezione relativa ai territori.
2 Il corso Grifo aveva come motto Vola sempre, domina ovunque, sgomina chiunque.