Araldica
Non sappiamo se i Giliberti di Sant'Arsenio avessero uno stemma differente da quelli di Solofra. Probabilmente non usavano né quello di Celenza, né quello dei Giliberti di Saponara, per cui l'alternativa rimane fra i seguenti:
Carlo PADIGLIONE nel suo "Trenta centurie di armi gentilizie", riporta a pag. 149:
Giliberti di Solofra
d'azzurro al crescente d'argento,
e nel capo tre stelle d'oro a otto raggi
Quasi certamente, questa è l'insegna detta di pretenzione, cioè quella che si vuol fare risalire alle origini della famiglia. è pertanto possibile che si tratti proprio di quella dei Drengot di Normandia e, con possibili varianti, di Rainulfo signore di Aversa, poi anche di Capua, del figlio Roberto signore di Avellino e del pronipote Gilberto, signore di Solofra e presumibile capostipite dei Giliberti. Ce lo dicono almeno i seguenti quattro indizi.
- La semplicità araldica delle pezze e il ridotto numero di smalti. Trattasi cioè di pezza onorevole, già di per sé indice di antichità, quasi certamente risalente ai primordi dell'araldica - XI o XII secolo.
- L'utilizzazione del crescente (mezzaluna), frequente nelle insegne dei normanni dell'Italia meridionale, ritenuta di influenza araba, acquisita dopo la conquista della Sicilia, prima metà XI secolo.
- Il campo azzurro che, ove non indicasse il cielo nel quale di norma giacciono luna e stelle, sarebbe indizio della feudalità acquisita per concessione papale. Tale concessione fu probabilmente strappata a papa Leone IX, prigioniero dei normanni dopo la disfatta della coalizione papale a Civitate. L'azzurro è sempre stato, infatti, il colore dei partigiani del papa e dei suoi vassalli. In seguito divenne anche colore tipico dei guelfi.
- Il collocamento di questa insegna nel I quadrante di quella inquartata dei Giliberti baroni di Solofra e signori di Sanseverino e Saponara, poiché questa posizione è appunto quella dell'insegna di pretenzione della famiglia.
Le stelle vengono di norma araldicamente rappresentate a cinque o a sei punte, oppure irregolarmente multi raggiate, come piccoli soli. Lo smalto usato è di solito l'argento, come per la luna, ma naturalmente per queste figure possono essere usati anche altri smalti e un numero diverso di punte. Tuttavia ciò deve essere esplicitamente dichiarato dalla blasonatura. è accaduto più volte che venisse blasonata come stella d'oro ad otto punte la rotella di sperone che, avendo anch'essa otto punte ed essendo sempre d'oro, se ne distingue soltanto per avere al centro un foro, che deve pertanto lasciare intravvedere lo smalto sottostante. È comprensibile come un errore di blasonatura possa verificarsi facilmente. In genere, la rotella di sperone indica una discendenza cavalleresca ma, più specificamente e frequentemente, l'assegnazione dell'onorificenza dello Speron d'Oro, di elargizione pontificia, molto usato per la nobiltà del regno di Napoli, a uno o più membri della famiglia. Non sembrerebbe questo il caso.
«Mille Anni della casata italiana de Judicibus»,
Antologia Storica attorno a Memorie Familiari
che vanno dalle Origini ai Giorni Nostri
A cura di Danilo de Judicibus,
Roma, 1a edizione Febbraio 1998
In "Settecento calabrese" di Franz von Lobstein, alla voce Giliberti baroni di Solofra e signori di Sanseverino, si ha:
d'azzurro,
bordato d'oro,
al cinghiale rampante su terreno al naturale,
bandato d'argento
Molto probabilmente, questo motto1 è la più antica divisa della casata Giliberti. Per una famiglia originata da un normanno che si stabilisce nelle selvagge e impervie forre solofrane, infestate da feroci cinghiali, preda venatoria ambitissima dei cavalieri medievali, il motto ci sembra appropriato.
Danilo de Judicibus,
«Memorie Storico Genealogiche dell'Antichissima e Nobile Famiglia Giliberti,
stese, ordinate e integrate da Danilo de Judicibus,
Roma, Inverno 1995, rev. Autunno ’97
1 Si riferisce al motto “PER IGNOTA PER ÌNVIA” associato spesso allo stemma in questione.