Introduzione

Le origini: i Grilli

I Giudici di Giornico sembrano derivare da un'antica famiglia, probabilmente discendente dal consorzio nobiliare dei Capitanei di Locarno, ovvero i Grilli di Ascona. Agli inizi del XIV secolo, Romerio Grilli si stabilisce a Giornico e dando origine così a quel ramo della famiglia. Notai e giudici, col passare del tempo smisero di usare il cognome origimnale per riferirsi a sé stessi con la forma genitiva “iudicibus de Platea”, a indicare la piazza della città nella quale vivevano. Da qui, italianizzato, l'appellativo “Giudici” che si trasformò in breve in un vero e proprio cognome.

Presto i Giudici aggiunsero alle loro funzioni politiche anche la gestione del patrimonio fondiario, l'allevamento e il commercio di bestiame, la produzione casearia, il commercio di legname e di vino e le professioni di oste e di notaio. I vari membri della famiglia accumularono sempre più ricchezze e si imparentarono con le famiglie notabili del territorio per consolidare la propria posizione nella società locale.

Alla fine si formarono due rami: uno rimase a Giornico con il cognome in italiano, ovvero Giudici, l'altro si trasferì ad Altdorf assumendo la vesrione tedesca del cognome, ovvero Tschudi.

Non abbiamo evidenza di alcun legame fra questi Giudici e quelli del Comasco e della Valtellina.

[N.d.A.] Le fonti secondarie sui Giudici di Giornico sono state fornite da Dario Romerio Giudici.

Il casato dei Grilli

L'interesse, quale caso di studio, della famiglia Giudici è dovuto all'importante ruolo politico, economico e sociale svolto in Valle Lenventina da numerosi agnati a partire dal Trecento. Un ramo della parentela emigrò ad Altdorf nel Cinquecento. Ne scaturisce un quadro della famiglia molto diversificato e che si ramifica su entrambi i versanti del San Gottardo.

I primi membri di quest'agnazione citati a Giornico non portavano il patronimico Giudici bensì Grilli e provenivano da Ascona. Apparentemente nobili, i Grilli, Griglioni o Ghiriglioni d'Ascona, discendevano forse anch'essi dal consorzio nobiliare dei Capitanei di Locarno.

Leonardo Broillet,
«A Cavallo delle Alpi»,
FrancoAngeli, 2014,
pagg. 314-315.

Il primo antenato che si stabilì, con forte probabilità, definitivamente a Giornico è ser Romerio Grilli fu ser Balzarino, ivi citato dal 1303 e al 1311. Si tratta di certo di un discendente dei Grilius appena menzionati.

Ibidem,
pag. 316.

Risulta difficile definire con precisione le attività che svolgevano i Giudici nel primo Quattrocento: gestivano probabilmente ancora la taverna situata sulla piazza di Giornico, lavoravano forse come mercanti ed erano forse impegnati nel trasporto di merci che transitavano per l'asse del San Gottardo. Proprietari terrieri, erano certamente anche interessati all'allevamento bovino, producendo in tal modo bestiame e formaggio da esportare.

Col tempo, l'antico cognome Grilli non fu più utilizzato e i notai non ne fecero più uso quando dovevano citare un membro della parentela. Romerio e specie i suoi discendenti furono chiamati a partire dal primo Quattrocento con la forma genitiva «iudicibus de Platea», in quanto discendenti dei giudici abitanti in piazza a Giornico. La denominazione locale finì anch'essa col cadere in disuso e si rinforzò unicamente il termine italiano giudice o giudici, che si trasformò col tempo in un vero e proprio cognome.

Ibidem,
pag. 318.

Dal XV secolo in poi

Nel corso del primo Trecento, benché considerati nobili ad Ascona, alcuni membri della parentela Grilli si trasferirono a Giomico dove erano creditori e, molto probabilmente, possedevano anche rendite e proprietà fondiarie. Nominati giudici per varie generazioni dai canonici milanesi, diventarono rapidamente i personaggi più influenti di Giornico, finendo per farsi chiamare con il nuovo cognome Giudici. Abbinando le loro funzioni politiche alla gestione del patrimonio fondiario, all'allevamento, alla produzione casearia, all'esercizio della mercatura e delle professioni di oste e di notaio, furono in grado, durante il Quattrocento, di arricchirsi in modo notevole fino ad essere considerati i più ricchi leventinesi. Apparentandosi poi con le più importanti casate mercantili di Bellinzona, il luogo dove frequentarono le scuole, furono capaci di rafforzare la loro presenza in quella zona, sbocco naturale dei loro prodotti.

Grazie alla loro abile versatilità, furono in grado di guadagnarsi la fiducia dei loro nuovi padroni, gli Urani, senza tuttavia tradire gli interessi milanesi. Sempre più favorevoli alla dominazione urana che portava loro degni vantaggi nell'esportare le loro merci verso Milano, i Giudici furono ben rappresentati nel Consiglio di Valle e gravitarono nel novero delle persone dotate di una maggiore confidenza con i balivi. Fedeli agli Urani, i Giudici, come molti altri Leventinesi, presero parte, nei ranghi confederati, alle Guerre d'Italia, fino a lasciare la vita sui campi di battaglia.

Persone ben istruite, in un caso perfino all'Università di Basilea, i Giudici del Cinquecento furono capaci di dare ancora più ampio respiro ai propri commerci, rivendendo a Milano bestiame e ingenti quantità di legname e di tavolame, e importando vino e cereali, a volte perfino nei Cantoni della Svizzera centrale. A metà secolo, dopo aver raggiunto tutte le funzioni politiche di luogotenente del balivo, di landscriba e di consigliere, come anche quelle di capitano e di alfiere delle milizie, certi Giudici riuscirono a stringere amicizia e parentela con membri dell'élite urana. Alcuni membri dell'agnazione, acquisita la cittadinanza urana, si trasferirono definitivamente ad Altdorf da dove proseguirono a commerciare con l'Italia.

Divisi in due rami, i Giudici di Giornico e gli Tschudi di Altdorf, essi continuarono a collaborare strettamente nelle loro attività commerciali. Il ramo urano seppe brillantemente far leva delle sue nuove parentele per facilitare i traffici nei Cantoni, mentre, tramite le vecchie parentele e amicizie ticinesi e lombarde, mantenne vivi e attivi i numerosi affari in Valle Leventina, a Bellinzona, a Locarno e a Milano.

Leonardo Broillet,
«A Cavallo delle Alpi»,
FrancoAngeli, 2014,
pagg. 335-336.