Data di nascita

13??

Periodo di riferimento

1381-1410

Data della morte

14??

Cosa si sa

Benedetto de Iudicibus nasce, presumibilmente a Diano (Castrum Diani), nella seconda metà del XIV secolo. Non conosciamo il nome del padre ma solo di uno zio, Battista. Uno di almeno tre fratelli: Benedetto, Domenico e Gabriele.

Sposa Clarixia Bonxiani, probabilmente anch'essa nata a Diano da tal Symonis che si suppone deceduto al momento del matrimonio della figlia, dato che spesso figura nei vari atti uno zio, Rusticus.

Benedetto ha diversi figli, ma solo degli ultimi quattro siamo sicuri siano anche figli di Clarixia:

  • Nicolaus (❀138?-14??✟),
  • Baptista (❀138?-14??✟),
  • Cosme (❀139?-14??✟),
  • Petra (❀139?-14??✟),
  • Thedora (❀140?-14??✟),
  • Bartholomeus (❀140?-14??✟),
  • Jacopus (❀140?-14??✟),
  • Blanchina (❀140?-14??✟).

Non conosciamo il luogo e la data della morte.

Simona Ciurlo,
«Il chirurgo Benedetto de Iudicibus de Diano:
la sua famiglia, la sua casa, i suoi libri fra Tre e Quattrocento»,
Intemelion, n. 7-8 (2001-2002)

[N.d.A.] La maggior parte delle citazioni riportate in questa e nelle successive sezioni di questa scheda sono tratte da Il chirurgo Benedetto de Iudicibus de Diano: la sua famiglia, la sua casa, i suoi libri fra Tre e Quattrocento di Simona Ciurlo, pubblicato in Intemelion, n. 7-8 (2001-2002) e indicata nei riferimenti come [Ciurlo 2001].

La vita

Benedetto è un personaggio importante perché lega a filo stretto tre città fondamentali nella storia dei de Judicibus liguri: Ventimiglia, Diano e Genova. Non sappiamo dove Benedetto sia nato, se a Ventimiglia o a Diano, ma se non lui, il padre o il nonno sono di Ventimiglia. In pratica potrebbe essere uno dei primi de Judicibus ventimigliesi a trasferirsi a Diano e da lì, poi, a Genova, presumibilmente per ragioni lavorative.

Il trasferimento a Genova da parte di Benedetto de Iudicibus di Diano o del suo ceppo familiare, purtroppo, non è documentato, quindi non conosciamo né il motivo, né la data del cambiamento di residenza. Si può presupporre che per la formazione e gli studi medici di Benedetto il trasferimento nella città marinara si fosse reso assolutamente necessario.

[Ciurlo 2001] pag. 59

Ma chi era Benedetto de Iudicibus? Come viveva? Quale tipo di vita conduceva a Genova?

Le informazioni non giuridico-amministrative riguardanti Benedetto de Iudicibus sono, purtroppo, veramente poche. Infatti, Le uniche notizie relative alla sua vita prima della redazione degli inventari ritrovati, si limitano a qualche comparsa tra alcune compere datate 1381, 1388, 1394 e 1400.

Archivio di Stato di Genova,
«Notai Antichi»,
n. 503, doc. nn. 213, 219, 272-280, allegato.

Sappiamo, inoltre, che fu nominato Anziano nel 1401 e che, insieme al figlio, nel 1410 passò dallo schieramento dei Guelfi a quello dei Popolari.

Jacques Heers, «Gênes au XVe siècle»,
Paris 1961,
pagg. 357-358.

La dicitura ritrovata riporta, infatti, che un Maestro Benedetto Indo di Diano Chirurgo, nominato nelle Compere del 1381, 1394 e 1400, fu eletto Anziano nel 1401, e da Guelfo si fece Popolare nel 1380. L’attività di chirurgo non era così diffusa e sembra improbabile si tratti di un’altra persona.

Più oscura la dicitura Indo che segue il nome di Benedetto. Forse un errore del copista, che probabilmente non fu in grado di leggere il nome Iudice. Infatti, più avanti si legge: Maestro Benedetto de Iudicibus chirurgo in compera 1388.

Federico Federici,
Famiglie che sono state in Genova prima del 1525…
in Biblioteca Nazionale di Firenze, Fondo Gråberg 1, t. II
pag.704

[Ciurlo 2001] pagg. 59-61

La famiglia

Per quanto riguarda la famiglia di Benedetto, non siamo al corrente di notizie relative al ceppo originario di Diano, tuttavia, conosciamo parte dei componenti grazie agli atti relativi alla divisione patrimoniale.

Uno dei fratelli di Benedetto, Domenico de Diano, proprietario o lavorante in un mulino, viene citato spesso quale testimone o eventuale tutore dei figli minori del fratello insieme ad un altro fratello di Benedetto, Gabriele, abate del monastero benedettino di S. Venerio di Tino. Si sa che visse dal 1375 al 1428 e che insieme a Battista di Diano, suo zio, fu molto attivo nell’amministrazione dei beni che il monastero possedeva in Corsica. Forse lo zio era il Baptista de Iudicibus con cui Benedetto aveva contratto un debito di lire 42 soldi 9 denari 2. Conosciamo un Iacobo de Rapallo nipoti praefati condam magistri Benedicti e sappiamo dell’esistenza di una Margarita de Iudicibus cui Benedetto doveva lire 301 soldi 13 denari 5 e di un tal Franciscus de (Ruceliaro) Iudicibus, testimone durante la redazione del secondo inventario. Nulla conosciamo, però, della relazione parentale con questi ultimi componenti della famiglia de Iudicibus.

La moglie Clarixia era la figlia di tal Symonis Bonxiani, probabilmente deceduto, visto che nei documenti in cui compare la famiglia di Clarixia, il padre non figura mai. Al suo posto troviamo invece Rusticus Bonxianii, zio paterno, che abitava in carubeo calderariorum, molto probabilmente non distante dalla domus magna di Benedetto. Nella petizione di Clarixia al vicario della Repubblica, per il recupero dei suoi beni, delle sue compere e dell’affidamento dei figli minorenni, appare lo zio come garante e consulente della nipote. Esiste una probabilità che Clarixia sia convolata a nozze con Benedetto dopo essere già stata moglie di Ihoanne de Sunaro, tuttavia è soltanto un’ipotesi. Infatti, non compare mai né come vedova né come madre di altri figli.

Particolare, invece, interessante è il fatto che Clarixia venga denominata Clarixia de Diano. Nulla si sa della provenienza della famiglia Bonxiani, tuttavia non sarebbe difficile ipotizzare un nucleo originario nell’insediamento di Diano, lo stesso del ceppo dei de Iudicibus cui appartiene Benedetto. Abitanti nella stessa zona e provenienti dal medesimo insediamento abitativo, nulla ci vieta di pensare ad uno stanziamento di conterranei con forti legami in uno stesso quartiere di Genova. Altra ipotesi, è quella del naturale passaggio del luogo d’origine della famiglia de Iudicibus da Benedetto a Clarixia, che per legame col marito, assume anche lei la provenienza del coniuge.

Per quanto riguarda i figli di Benedetto, la situazione sembra diventare un po’ meno chiara. Sappiamo che i figli vivi al momento della redazione degli inventari erano otto: Nicolaus, Petra, Cosme, Baptista, Thedora, Bartholomeus, Jacopus e Blanchina. Il problema si presenta allorquando si desideri capire quali erano i figli concepiti con Clarixia, quali con una precedente consorte a noi sconosciuta, ed eventualmente, quali quelli avuti al di fuori del matrimonio. Sembra, infatti, difficile pensare che gli eredi di Benedetto siano tutti anche figli di Clarixia.

Soltanto per gli ultimi quattro figli, siamo sicuri che appartengano a entrambi, vista la chiara dicitura quatuor ex filiis suis et dicti condam domini magistri Benedicti. La scelta della preposizione ex induce a ritenere che i quattro più giovani, non fossero gli unici figli avuti da Clarixia e Benedetto.

Simona Ciurlo,
«Il chirurgo Benedetto de Iudicibus de Diano:
la sua famiglia, la sua casa, i suoi libri fra Tre e Quattrocento»,
Intemelion, n. 7-8 (2001-2002),
pagg. 66-69

L'inventario di Benedetto de Iudicibus

La descrizione dei beni di Benedetto de Iudicibus come risulta dall'inventario ritrovato nell'Archivio di Stato di Genova agli inizi del XXI secolo, trascritto e analizzato da Simona Ciurlo nel suo Il chirurgo Benedetto de Iudicibus de Diano: la sua famiglia, la sua casa, i suoi libri fra Tre e Quattrocento.

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ProprietàL'inventario di Benedetto de IudicibusLe proprietà
Domus MagnaL'inventario di Benedetto de IudicibusLa Domus Magna
ArrediL'inventario di Benedetto de IudicibusGli arredi della Domus Magna
OggettiL'inventario di Benedetto de IudicibusOggetti e soprammobili della Domus Magna
LibriL'inventario di Benedetto de IudicibusLibri presenti nella Domus Magna
FinanzeL'inventario di Benedetto de IudicibusInvestimenti finanziari di Benedetto

L'inventario di Benedetto de Iudicibus

Le proprietà

Per quanto riguarda le sue proprietà, sappiamo che Benedetto possedeva una casa grande a più piani con i portici, posta nella Contracta delle Fucine1, in via del ferro; una casa di campagna con terreno a Sturla e due piccole case modeste, domuncule, una nella zona di S. Ambrogio, nella via dei ferraioli, e l’altra posta nella via del rame. Queste ultime non dovevano superare in altezza o il piano terreno o il primo piano. Da notare che non compaiono attrezzi agricoli in nessuna delle sue proprietà, nemmeno nella casa di Sturla, nella quale dovrebbero trovarsi almeno i più elementari utensili per lavorare la terra. Si può supporre che fosse piantato a vigneto visto che compaiono, nell’inventario, molte botti per il vino.

Il fatto che nella redazione dei possedimenti, la casa principale venga nominata domus magna, ci autorizza a considerarla sede principale del parentado, comprensiva di propinqui e clientes che abitavano nelle vicinanze o addirittura nelle domuncole della famiglia. La presenza del portico, o loggia, avvalora questa tesi. Infatti, in questo spazio si svolgevano le grandi cerimonie familiari, i riti della consorteria e più tardi dell’albergo con le assemblee del capofamiglia ed i banchetti per i matrimoni.

Le informazioni spaziali relative alle proprietà, entro le mura, sono abbastanza vaghe. Riportano solo l’indicazione di alcuni confini, senza precisarne comunque le distanze. Le notizie che si riescono a cogliere sono che il nucleo abitativo, comprendente domus magna e domuncole, si trovava in una zona dove venivano lavorati i metalli (carubeo ferri; carubeo ferrariorum; carubeo rame), presumibilmente nel quartiere di S. Ambrogio, accanto ai possedimenti della famiglia Imperiali. L’area relativa alla chiesa di S. Ambrogio si trovava nella zona denominata Soziglia, e visto che le proprietà della Chiesa occupavano più di metà dell’area urbana ed extraurbana genovese, Benedetto probabilmente pagava loro i tributi. Possiede, inoltre, una villa con terreno in Sanpierdarena.

Archivio di Stato di Genova,
«Notai Antichi»,
n. 503, allegato.


1 Il termine trascritto, fuxine, è di difficile lettura. Si è voluto vedere questa denominazione anche perché nella Genova odierna, esiste Largo delle Fucine, dove probabilmente dovevano trovarsi le abitazioni di Benedetto de Iudicibus. Quest’ipotesi è avvalorata dal fatto che i nomi delle vie adiacenti erano riferiti ad uno stesso ambito lavorativo: carubeo ferrariorum, carubeo rame, carubeo ferri. Inoltre, è certa la posizione delle case del clan degli Imperiali, ora ubicate nella zona di Soziglia, in Vico della Neve, nn. rossi 4/8 (L. GROSSI BIANCHI - E. POLEGGI, Una città portuale, p. 134), indicate come confine superiore della domus magna di Benedetto.

L'inventario di Benedetto de Iudicibus

La Domus Magna

Sulla disposizione interna della casa grande non ci sono notizie precise, ma visto che negli inventari si parla frequentemente di stanze superiori, si può dedurre che una tipica suddivisione perimetrale poteva così delinearsi: al piano terra i locali adibiti alla bottega o ai magazzini con soffitti a volta1; al primo piano generalmente la caminata o sala da pranzo, caratterizzata dalla presenza di un grande camino che non ha funzioni relative alla cucina; al secondo piano la camera da letto e la cucina ubicata sopra la caminata; al piano superiore le stanzette per gli eventuali servi.

La planimetria della domus magna che ci risulterebbe dagli inventari di Benedetto, si può, dunque, così articolare: un’aula prima che corrisponde alla caminata, in cui sono contenute la maggior parte degli oggetti, mobili e vestiario; una camera cochine, piccola stanza da letto (o ipoteticamente cameretta adibita a bagno); un’alia camereta cochine che coincide con la cucina vera e propria; una quadra camera supra cochinam che rappresenta la grande camera da letto con tutti gli oggetti correlati; una camera che doveva essere il magazzino con la stalla.

Da ciò si evince che, a piano terra, si trovava un ampio locale che fungeva da magazzino per le botti del vino e da stalla per la mula. Nella stanza adibita a magazzino, indicata genericamente come camera, si trovano cinque botti, la più grande delle quali ha la capacità di circa quattro metrete (vegetes quinque quarum maior est de capacitatis metretas IIII vel circa). In queste botti sono contenute circa 14 metrete di vino (in dictis vegetibus vini circha metretas XIIII). Nello stesso ambiente probabilmente dormiva la schiava Anna, come prova la presenza di un divisorio, una cortina telle celeste dipinta. La schiava, infatti, viene elencata subito appresso alle botti ed alla mula. Compaiono, inoltre, altri due servi, una donne e un uomo, di cui nulla si conosce. I servi, nei testamenti, infatti, vengono sempre enumerati mmediatamente dopo gli animali da soma ed indicati con il solo nome di battesimo e l’età. Questo per sottolineare come, chi si trovava in questa condizione sociale, non possedeva personalità giuridica propria ed era di proprietà esclusiva del padrone di casa esattamente come gli altri beni in inventario.

Archivio di Stato di Genova,
«Notai Antichi»,
n. 503, allegato.


1 Nell’allegato si legge: Item illis de (censaria) introytum de sanctorum pro terra lire XI. Il prezzo sembra alto, tuttavia, non conosciamo le dimensioni del terreno. L’unità di misura del terreno era la tavola.

L'inventario di Benedetto de Iudicibus

Gli arredi della Domus Magna

Gli oggetti descritti negli inventari sono ordinati secondo l’uso e la disposizione delle stanze. Per maggiore chiarezza la traduzione e la spiegazione particolareggiata degli arredi contenuti nell’inventario si trova nel glossario posto in appendice.

Il primo locale che viene esaminato, dunque, è la caminata, annotata come aula prima, ma riconoscibilissima dall’ampiezza sottolineata dal numero dei mobili in essa contenuti e dalla tipologia stessa dell’arredo. Inoltre la presenza del camino, figura costante e caratterizzante dell’ambiente stesso, è suggerita dal braciere (tanonum) che era sempre ubicato vicino al focolare.

La caminata era il luogo della casa dove la famiglia trascorreva la maggior parte del tempo. Qui ci si radunava per mangiare, per discorrere, per ricevere gli ospiti, per lavorare e in molti casi anche per dormire. Nella zona vicino al camino trovava posto il tavolo (tabulam cum tripodibus) dove desinavano i padroni e gli ospiti. Questo mobile era molto essenziale, composto da un ripiano appoggiato a sostegni più o meno semplici ed in numero variabile, per poter facilmente essere smontato alla fine del pranzo e lasciare libero lo spazio. Un tavolo più piccolo, di forma rotonda, sempre formato da un pianale sorretto da cavalletti, era destinato alla servitù (deschetum aliud cum tripodibus talle qualle).

La presenza di questi due mobili nella stessa stanza attestata in molte case genovesi, lascia supporre che signori e domestici mangiassero nello stesso locale sebbene a tavoli separati. Di conseguenza anche le tovaglie erano distinte per ampiezza e per tipo di stoffa: più piccole e modeste quelle per la servitù, più ampie e di tessuto più pregiato quelle per i padroni. Benedetto ne possiede quattro per la mensa dei servi (toagie pro famiglia quatuor), quattro per quella della famiglia (toagie pro domo quatuor), ed altre tre di cui non si specifica l’uso. È possibile che fossero poste sulle cassapanche sotto l’argenteria.

Sopra le tovaglie, molto spesso erano usati i guardamapi, liste di tela sistemate nel senso della lunghezza del tavolo a protezione della tovaglia. Questa funzione dei guardamapi è un’ipotesi di E. Pandiani, in quanto non esiste nessuna certezza riguardo all’uso di tale arredo da tavola. Rispetto alle altre tesi, ritengo quella del Pandiani la più plausibile. Nella caminata ne sono elencati ben sei, oltre a tre manutergia, tovaglioli per asciugare le mani come suggerisce il nome stesso. Data l’esiguità del numero, in questo come in tutti gli altri inventari, è probabile che fossero più lunghi degli attuali tovaglioli e che servissero a più persone.

Sono elencati, subito dopo il tavolo, due scanni (schanulii duo), sedili stretti di forma o quadrata o rotonda, che poggiavano su quattro gambe leggermente divaricate verso l’esterno. Mancano altre sedie, per cui viene confermata l’ipotesi che le cassapanche e i bancali fungessero anche da sedili. Nella caminata della casa, si contano: due cassapanche con tripla serratura (bancalia duo cum tribus clavatura), due con una serratura sola (bancalia duo alia cum una clavatura talia qualia), una panca (banca una), altre due cassapanche (bancalia duo cum uno ealii pro quolibet).

Relativamente all’arredo per la mensa, sono presenti due coltelli da tavola, uno in lega d’argento (gradium unum pro mensa aliquantulum munitum argento), l’altro guarnitum argento, probabilmente utilizzati solo per trinciare, in quanto sembra che l’uomo medievale amasse servirsi con le mani e che le porzioni arrivassero sul tavolo già preparate su piatti da dividersi tra uno o due commensali. Oltre questa coppia di trincianti, appare un servizio da tavola composto da tre coltelli con il manico d’argento e la lama argentata (gradii pro mensa tres cum manicis argenteis et cum malieto argenteo), una forchetta d’argento (furcheta argenti) e un coltellino (parvulo gradeto): il tutto contenuto in una custodia (omnes in una guagina). Inoltre, compaiono dodici cucchiai d’argento (coclearia duodecim argenti) e due saliere d’argento (salayrolii duo argenti untiae VII). Quindi, complessivamente, due interi servizi di argenteria.

Oltre a questi oggetti di uso quotidiano, la famiglia de Iudicibus poteva esibire due tazze d’argento (tacie due argenti untiae XIIII) ed una coppa larga chiamata confettiera (confecteria una argenti untiae X). Questa argenteria, considerata d’arredamento, si allineava, perché facesse bella mostra, su qualche cassapanca posta nella caminata.

Vicino al tavolo, probabilmente su qualche cassapanca, era posto un barile per il vino (barile unum pro vino). È inventariato un recipiente in metallo per contenere l’acqua usata per le pulizie di casa (stagnonum unum pro aqua) e un secchiello di rame (rexentarium unum). Manca qualsiasi indicazione riguardo a bicchieri, scodelle e piatti.

La stanza era illuminata da tre paia di piccoli candelabri in bronzo (candelabra tria parva bronzi); cinque grosse candele di cera ancora nuove (brandoni quinque cere integri) erano probabilmente di riserva.

Nella caminata trovava posto anche una zona attrezzata per dormire: del resto non era rara questa suddivisione interna delle stanze più ampie. Compare, dunque, un armadio o cassa o forziere per riporre oggetti preziosi, indumenti, biancheria da letto, da mensa e scritture (sospitalle unum magnum), di solito posto accanto al letto. C’è appunto un letto (torcular) con tutta la biancheria e gli oggetti personali, facenti parte della dote di Clarissa. Un altro lettino (torcular parvum unum) compare sempre nella caminata, probabilmente non troppo discosto dal primo. Ai piedi del letto di Clarissa, si trovava una cassapanca bassa, larga e lunga (bancalacium unum in pede lecti), che serviva sia per riporre la biancheria, sia da sedile, sia per acceder al letto che era molto alto. Vicino al bancale stavano due casse in noce usurate (capsias duas nuces tallis quallis).

Probabilmente sopra il lettino era posto un materasso foderato bianco, morbido e sottile (culceris una alba subtilis) e una piccola e sottile coperta di seta a righe (copriperticam cendati vergati parvam talle qualle). Per quanto riguarda le lenzuola, mai specificate nella stoffa, ma probabilmente di lino o di canapa, ne abbiamo due paia di più piccole, rispetto alle altre, ma obiettivamente grandi (par unum aliud lintiamen de telis tribus; par unum lintiamen de telis III et III½) e tre paia grandi (par unum lintiamen de telle quinque; aliud par lintiemen de telis quator; par unum lintiamen de telis IIII or). C’è poi, un cuscino ampio di piume, grande quanto il letto, (cossinum unum plumis), spesso posto sotto il primo lenzuolo che si abbinava agli oregerii (oregerii duo parvi plumis vermiglionis), in questo caso piccoli e di tessuto rosso, veri e propri guanciali per appoggiare il capo.

…[omissis]…
Completava l’arredamento della caminata, un tavolino da lavoro completo di sgabello (scriptorium unum cum schaneo parvulus) in cui, probabilmente, erano conservati i libri.

…[omissis]…
In questa stanza, in ogni caso, identificata dal redattore come camera cochine, erano presenti, un letto (torcular unum), corredato di due materassi sovrapposti (straponta una culceris una parve plumis pro nuptiis), due lenzuola di media grandezza (lintiamina duo pro nuptiis de tellis III et III½) e di due coperte vecchie di tessuto a striscie (copertoria duo burdi talia qualia).

…[omissis]…
Attigua a questa cameretta, c’era la cucina vera e propria (alia camereta cochina). …[omissis]…
I mobili che si trovano in cucina, sono essenziali: un piccolo tavolo (deschetum unum) con due cassapanche usurate (bancalia vetera duo pro cochine) e una madia per il pane (meiza pro panis). Non si fa cenno ad un focolare, che pure doveva esserci, vista anche la presenza della catena.

Al piano superiore, sopra la cucina, era ubicata la camera da letto definita quadra camera supra cochinam, ed era sicuramente la stanza di Benedetto. Qui troviamo, infatti, un letto (torcular unum) completo di straponta, due culceris di piume, due lenzuola, quattro auricularia, di cui un paio più piccoli, un copertorium burdi, e un copertorium burdi con il bordo di lana gialla.

L’arredamento era completato da una banca pro lecto, un bancale, una grossa cassa vecchia (coffanum vetus) e da una culla.

Compaiono inoltre, due giare per la farina (iarre due pro farina). Spesso, infatti, la camera da letto poteva servire da deposito per i cereali.

L'inventario di Benedetto de Iudicibus

Oggetti e soprammobili della Domus Magna

Possedevano, inoltre, un oggetto prezioso di devozione (agnus dei argenti). Nelle case ricorrevano spesso immagini sacre appese sopra il letto o collocate sui mobili della camera. La particolare raffigurazione dell’agnello divino, però, fa pensare ad un utilizzo diverso. Era usanza, infatti, appendere al collo dei neonati delle crocette e medaglie devote, chiamate appunto agnus dei, per combattere il dolore provocato dall’eruzione dentaria. Spesso venivano indossate dalle donne in attesa di un figlio, che attribuivano a questi monili una protezione miracolosa durante il parto. Visti i numerosi figli di casa de Iudicibus non pare strana la sua presenza.

Tra i preziosi, custoditi in qualche capsia o nel sospitalle, c’è una collana di perle veraci da ragazza (collaneta una perlarum veracium pro puella coh circa II IIII) e un paio di perle veraci per donna (par unum bociarum perlarum veraceum pro domina talle qualle coh circa II IIII). La precisazione sull’autenticità delle perle, è resa necessaria dalla massiccia presenza di perle e pietre false in pasta di vetro. I gioiellieri non potevano commercializzarle per evitare rischi di truffa, ma si trovavano con estrema facilità dai merciai ambulanti assieme alle coroncine, ai fermagli, alle spille, alle borchie ed agli anellini in stagno ed ottone a volte dorato. Le signore cucivano negli abiti soprattutto le perle che si distinguevano, a seconda dell’utilizzo, in «perle vergini e non forate », da incastonare negli anelli, e perle forate per bracciali, spille, collane e per adornare nastri, cinture di stoffa e vestiti. È molto probabile che le perle presenti in casa de Iudicibus venissero utilizzate secondo questo particolare gusto estetico. Anche il fatto che i gioielli siano relativamente pochi, vista la condizione piuttosto agiata della famiglia, rispecchia la vita sociale dal XIII al XV secolo, quando anche la nobiltà urbana e la borghesia amavano far sfoggio di preziosi, ma sempre in modo non troppo appariscente.

Anche Benedetto possedeva un ornamento prezioso: una cintura di cuoio con applicazioni d’argento (corrigium unum corei cum (unum) argenti et su(g..) et mapa argenteis pro homine). La cintura più che carattere pratico riveste un ruolo decorativo, e, impreziosita da guarnizioni in argento, indica ricchezza ed eleganza. Sempre appartenente a Benedetto, dovevano essere, un corto mantello di colore vermiglio usurato (mantelotum unum aliud pro nomine grane talle qualle) e una veste pure vermiglia foderata di pelliccia con maniche attillate (gona una rozee de grana cum manicis strictis foderata dolsorum quae est fratres predicatores).
…[omissis]…

Come in ogni casa, di certo non mancava qualche indizio su oggetti legati alle armi. Benedetto, infatti, possedeva due paia di manopole (cerotece duo parie).

Da ultimo, citiamo una piccola imbottita (culceris de duobus cendatis parva pro balneo) con fodera di seta da entrambi i lati. La particolarità sta nel fatto che è specificato il suo utilizzo per la pulizia personale. Soprattutto se la stanza adiacente alla caminata era veramente una camera che potrebbe, ipoteticamente, rappresentare una stanza dove lavarsi. Per accreditare, però, questa versione, manca un qualsiasi accenno ad una tinozza o quanto meno ad un grande bacile. Per asciugarsi, era probabile, invece, l’utilizzo di tovaglie e tovaglioli, che in alcuni inventari erano definiti anche toalorias de testa o de manu.

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Gli utensili presenti sono di normale utilizzo nelle case genovesi. Infatti, troviamo una bacile in rame (conca una rami nova), due paioli di cui uno col fondo piatto (parrolium unum platum; parrolium unum aliud), un tegame in rame (tianum unum rami), due padelle di cui, una per la cottura dei pesci (paela una pro piscibus) e l’altra, bucata, per le castagne (paela pro castaneis), un calderotto in rame per scaldare l’acqua o bollire pietanze liquide (ramayrolium unum pro calefacendum aquam), un mortaio, probabilmente munito di pestello (mortarium unum), due setacci per selezionare la farina o filtrare sostanze semiliquide (seacii duo), un secchio di rame completo di mestolo per conservare l’acqua (situla cum capita rami) e una catena per appendere il laveggio o lavezzo, pentola di pietra ollare o di metallo con manico ad arco oppure con base piatta per favorire l’appoggio, adatta alla cottura di minestre, verdure e carni (catena pro lebetibus).

L'inventario di Benedetto de Iudicibus

Libri presenti nella Domus Magna

Nella sua camera, Benedetto, inoltre, conservava una serie di testi, il cui ambito spaziava dalla filosofia alla logica, dalla fisica alla cultura medica. Questo particolare è molto interessante. Denota, sì, una attenzione di diretta utilità per il suo lavoro, ma anche una cura superiore alla sua stessa categoria chirurgica. È forse per questo motivo che Nicolaus, già phisicus alla morte del padre, seguendo una tendenza di verticalizzazione dello status sociale con una linea ascensionale padre-figlio, diventa un medico. Benedetto è, dunque, un professionista letterato e istruito, attento alla cultura del suo tempo ed alle edizioni classiche che fanno di un chirurgo uno specialista di buon livello.
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Si evidenziano, dunque, in casa di Benedetto otto volumi e alcuni carteggi sciolti in pergamena ed in carta di papiro, riguardanti l’ars medica. La descrizione dei libri è, come spesso accadeva, superficiale e carente. Sicuramente una mancanza da parte del redattore che non è stato in grado né di dare una caratterizzazione della qualità materiale dei testi, né un’accurata definizione degli autori. Ciò non ci permette di capire quale siano gli interessi specifici di Benedetto ma ci consente soltanto una semplice visione d’insieme della libreria. L’elenco cita testualmente1:

  • Primo duo libri in carta cum tabulis in philosophia
  • Item liber unus in logica
  • Item Dinus in cirrugia
  • Item liber tercius Avicene in phisica
  • Item liber qui vocatur Simonis Ianuensi in phisica
  • Item Artixella una in phisica
  • Item Guiliermina in phisica
  • Item carta alia scripta tabella librorum in carta et appapirum sunt tabulis pro arte medicine talle qualle

I testi di cui possiamo recuperare qualche notizia sono cinque. Un’opera di Dino del Garbo sulla chirurgia, forse la Chirurgia cum tractatu eiusdem de ponderibus et mensuris nec non de emplastris et unguentis, un probabile testo di Simone Genovese riguardante la phisica, verosimilmente il Clavis sanationis, il terzo libro del Canone di Avicenna, il volume dell’Articella e la Summa conservationis et curationis di Guglielmo da Saliceto.

La lista non lascia dubbi sull’arte di Benedetto. Sono, infatti, tutti testi rappresentativi di una specifica professione, necessari perché di base per un serio terapeuta dell’epoca. …[omissis]…

La diffusione dell’opera di Simone da Genova nel territorio ligure sembra essere un’emanazione naturale, vista l’evidente origine di Simone. Non è, dunque, problematico accettare la sua presenza all’interno dell’inventario di Benedetto de Iudicibus. Quello che sembra più singolare è il fatto che Benedetto possedesse una glossa di tale portata. L’unico testo su cui avrebbe potuto utilizzarla era il III libro del Canone di Avicenna, tenuto nella sua libreria. Sarebbe stato interessante conoscere la data della traduzione del Canone posseduto da Benedetto, od eventualmente capire se si trattava di una revisione posteriore o derivava da una traduzione alto – medievale piena di termini traslati e oscuri che giustificasse la presenza del testo del Genovese. …[omissis]…

Non sembra difficile comprender il perché della presenza di questo testo, così importante per la chirurgia del XV secolo, nella libreria privata di Benedetto de Iudicibus. La grande fama di quest’opera all’interno del panorama scientifico europeo e delle università maggiori dell’epoca, ne rendevano il possesso indispensabile. Così, possiamo cogliere l’immagine di un uomo colto e attento alle novità scientifiche in campo medico, una persona addentro ai circoli intellettuali genovesi e accorta nella pratica della propria arte. Si potrebbe anche azzardare l’idea che il volume fosse stato acquistato per il figlio Nicolaus de Iudicibus, già phisicus alla morte del padre. Il fatto che Nicolaus sfoggi questo titolo alla fine del 1412, potrebbe far pensare alla frequenza di uno Studium negli anni immediatamente precedenti. Svolgendo un rapido calcolo, è plausibile sostenere che lo statuto del 1405 di Bologna combaci in modo sufficientemente credibile con il cursus studiorum di Nicolaus. Inoltre, se non dovesse aver frequentato la facoltà universitaria di medicina proprio a Bologna, cosa, in ogni caso accettabile, la situazione negli Studi di Pisa, Padova, Montpellier o Parma, per citare i più vicini, non si presentava dissimile.

All’interno della collezione libraria di Benedetto, inoltre, troviamo un altro testo di notevole importanza citato come Dinus in cirrurgia. Il nostro redattore si riferisce certamente all’illustre Dino del Garbo, nato a Firenze intorno al 1280 dalla nobile famiglia del Garbo. …[omissis]…

Ipotizzando che il redattore dell’inventario del de Iudicibus avesse colto solo che si trattava di un libro sull’arte chirurgica scritto da Dino del Garbo, e considerando che egli aveva tenuto lezioni in particolare su Avicenna nei maggiori Studi italiani, anche questo testo, forse, potrebbe essere appartenuto al figlio Nicolaus. Come studente in un secolo impregnato di avicennismo, non contrasterebbe l’aver utilizzato quest’opera. Ma questa è solo un’altra ipotesi. …[omissis]…

Ma, un altro autore è presente tra le carte di Benedetto: Guglielmo da Saliceto (1210-1277). La sua opera, la Summa conservationis et curationis o Cyrurgia, detta anche «Guilelmia », uscì a Bologna nel 1275, e venne redatta ad petitionem domini Federici imperatoris, proprio in seguito ad un incontro con l’imperatore Federico II a Pavia, dove egli insegnò dal 1245 al 1248.

Il nostro Benedetto, bisogna dargliene atto, non si trovava nella posizione migliore per uno scambio culturale evidente, vista la situazione genovese, eppure possedeva, a parte l’Articella, testi notevoli e didatticamente validi.


1 All’interno dell’inventario di Benedetto de Iudicibus, è stata riportata dal compilatore una lista di libri che si trovava, al momento della redazione, nella camera da letto sopra la cucina. Quest’elenco di carte e libri, fa parte degli oggetti mancanti dal secondo inventario (m.s. 277). La mancanza di tali volumi e di una particolare disposizione riguardo ad essi, ci permette di avanzare alcune ipotesi riguardo alla loro sottrazione. È verosimile pensare che non sia stata la moglie Clarixia ad impossessarsene, quanto piuttosto il figlio Nicolaus, che è un phisicus, e che si presume abbia studiato su quegli stessi volumi appartenuti a suo padre. Il fatto che fossero conservati ancora nella casa paterna, può far pensare ad un utilizzo costante da parte dello stesso Benedetto, alla previsione di una carriera medica per gli altri figli maschi o alla possibilità che Nicolaus vivesse ancora nella casa del padre. Del resto Nicolaus doveva possedere altri volumi come si può desumere dalla depennatura: Item libri sex duodecim cirurgie et phisica posti in elenco nella camera che ospita il sospitalli magnum. Il redattore deve essere stato interrotto e persuaso a cancellare i libri relativi all’arte medica in quanto non appartenenti al defunto. Non compaiono difatti più in nessun manoscritto.

L'inventario di Benedetto de Iudicibus

Investimenti finanziari di Benedetto

Per quanto riguarda il bilancio familiare, era abitudine delle famiglie abbienti o degli alberghi, investire i propri risparmi, liberamente o per forza, nei titoli del debito pubblico, diventando, in questo modo, azionisti dei diversi mutui, poi delle grandi compere, e infine, dall’inizio del Quattrocento, della Casa di S. Giorgio.
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I mercanti e i benestanti investivano in compere non tanto a titolo individuale, ma soprattutto a nome delle mogli e delle figlie; i nomi delle ragazze, delle spose e delle vedove, sono assolutamente prevalenti su quelle dei capofamiglia. …[omissis]…

I titoli rendevano effettivamente poco, ma erano un valore sicuro e i genovesi non esitavano a mettere in gioco i loro capitali per assicurare un avvenire più tranquillo alla moglie ed ai figli. Benedetto de Iudicibus, appunto, aveva investito nei loca delle Compere maggiori e del Banco di S. Giorgio, sia a titolo personale, sia intestate alle figlie o alla moglie.

La moneta vincolata da Benedetto, tuttavia, ammonta ad una somma mediocre per un componente di una famiglia del livello dei de Iudicibus. Benedetto aveva investito soprattutto in compere indipendenti, che sono quattro, mentre solo due sono le compere del Banco. Probabilmente, erano state impegnate antecedentemente all’avvio o all’unione delle vecchie compere nella Casa.

Compaiono infatti, librae III LII II soldi XVIII denarii IIII (lire 372 soldi 18 denari 4), impiegati nell’Officio monete, organo che in origine era preposto alla riscossione delle imposte dirette, all’accomodamento con i creditori, alla gestione delle spese ed ai controlli delle entrate e delle uscite della zecca; cinque luoghi, cioè 500 lire, nella compera pacis capituli, una delle più antiche e popolari imprese; librae DCC, cioè lire 700, nella compera mutuorum veterorum capituli, i vecchi titoli investiti nella più generale compera capituli e librae CC, 200 lire, nella comune compera regimine. Un tipo d’investimento, non particolarmente cospicuo, ma, di forse maggior rendimento rispetto alle compere del Banco. Senza contare che il genovese con un certo patrimonio non investiva in S. Giorgio se non per mogli e figlie.

Stupisce l’assenza di una compera a nome dell’ultima figlia Blanchina. Infatti Tedhora possiede librae D, 500 lire, presumibilmente a titolo di dote, in una compera di S. Giorgio e così anche quelle relative a Clarixia e a Petra, investite da Benedetto. Quella di Clarixia è, infatti, di 1673 lire 16 soldi 15 e quella di Petra è pari a lire 1242 soldi 10. Da contare che Clarixia, inoltre, doveva essere rientrata in possesso della dote di circa 2.000 lire e del dono del marito a titolo di antefatto alla morte di costui. Il denaro investito del padre di Clarixia, risulta essere ancora nelle vecchie compere capituli, come erano quelle del maestro Benedetto. Sembra probabile che questo tipo di investimento, come quelli di Benedetto, fosse stato praticato prima dell’istituzione del Banco, senza per altro avere attinenza con qualche motivo politico relativo alla concorrenza che questo tipo di compera poteva esercitare nei riguardi della Casa.

Unica eccezione, dunque, tra le compere di famiglia de Iudicibus risulta essere la cifra di librae II 8 C I soldi V, lire 2.101 soldi 5, impegnate in una compera nel Banco di S. Giorgio intestata allo stesso Benedetto.

Non conosciamo nessun riferimento ad un’iscrizione del de Iudicibus né nel registro dei luoghi, né in quello delle paghe. Forse, la mancanza di questo dato potrebbe significare una migliore gestione nell’accreditamento degli interessi dei luoghi precedentemente la metà del ‘400. È, tuttavia, molto probabile che anche Benedetto fosse iscritto, per lo meno nel registro delle lire de paghe, visto l’utilizzo così massiccio di questo tipo di pagamento da parte della popolazione genovese.

I capitali investiti da Benedetto non risultano particolarmente cospicui, circa 4.000 lire a suo titolo. Non credo si tratti di mancanza di liquidi, in quanto, come si è visto, Benedetto era di famiglia agiata e doveva guadagnare con il suo lavoro, abbastanza da poter operare maggiormente. Ritengo, invece, che come molti genovesi, utilizzasse il Banco esclusivamente come «un conto corrente bancario», utile soltanto per l’investimento a lungo termine.