Data di nascita

14 gennaio 1824

Periodo di riferimento

1824-1853

Data della morte

19 novembre 1853
  Molfetta (BA)
  DML 3

Cosa si sa

Giuseppe de Judicibus, detto Peppino, nasce a Molfetta (BA) il 14 gennaio 1824 da Matteo e Maria Cappelluti. Decimo di tredici figli: Susanna Maria, Angela Maria, Giovanna Maria, Sergio, Giovanna Maria, Giovanna Maria, Mauro Sergio, Giovanna Maria, Corrado, Giuseppe, Antonio, Gaetana e Rosa Maria. Non si sposa.

Con un testamento del 18 novembre 1853, aperto e letto il 4 dicembre 1853, Giuseppe dispone eredi universali i suoi quattro fratelli, ovvero il canonico Sergio, “Mauretto”, “Corradino” e “Antoniuccio”1.

Muore a Molfetta (BA) il 19 novembre 1853.


1 È tipico di questo sottoramo della famiglia, l'abitudine a utilizzare diminutivi per i figli, non solo le femmine ma anche i maschi.

Alcune informazioni in questa scheda sono state fornite,
per gentile concessione, dal Cav. Corrado Pisani
come materiale inedito, da fonte documentale
citata nell'Introduzione a questo ramo.

L'amicizia con Luigi La Vista

Gli amici e i familiari chiamano Giuseppe Peppino. Con tale soprannome viene nominato in un articolo che parla dell'amicizia fra Luigi La Vista1 e Giacinto Poli, nipote di Giuseppe Saverio Poli2. Peppino a suo volta era fra i migliori amici di Luigi La Vista, tanto che il letterato campano gli spediva gran parte della corrispondenza diretta a Giacinto Poli. Nello stesso articolo si nominano anche altri de Judicibus, come ad esempio, Sergio.

Rappresentando sè stesso, con la sua spontaneità, il Poli suscitò nel La Vista la più viva simpatia che produsse un'affettuosa corrispondenza. Scrisse di poi Luigi al suo amicissimo Peppino De Judicibus in Molfetta: «Saluta in singular modo Giacinto Poli.» E ancora: «Dà questa che t'inchiudo a Giacinto Poli; leggila, se vuoi, e poi suggellala.» E di seguito: «Per la posta di Spinazzola ancora ti ho scritto e t'inclusi una lettera per Giacinto… Salutami i tuoi fratelli e Giacinto.» In fine: «Hai avuto tutte le mie lettere? Specialmente quella con una a Giacinto Poli?»

Giovanni Pansini,
«Un viaggio a Molfetta nell’800»
in
«La rassegna, storia, lettere e arte»,
Periodico Mensile,
Marzo-aprile a. XII e.f.
pag. 5

Vi è certo un'altra ragione di pena: la partenza. Deve tornare a Venosa, dov'è atteso dal padre, ma dove pure ha tanto patito; perciò il distacco dagli amici molfettesi più lo rattrista, e principalmente l'allontanarsi dal De Judicibus. Sente il bisogno di scrivergli poche parole, durante l'ultima notte della sua permanensa in Molfetta. Peppino troverà quel biglietto quand'egli sarà partito e lo seguira più vivamente col suo pensiero.
«È mezzanotte e io penso a te. Il pensiero di lasciarti mi ammazza. Un mese di separazione è un inferno. Esco da Molfetta come se uscissi dalla mia casa. Amami, Peppino, saresti un barbaro se non mi amassi».
II distacco dalla città gli cagiona dolore come la separazione dall'amico. Nelle Memorie scrive: «Domani lascerò Molfetta e la cortesia e la cordialità di tanti ottimi amici e mi rintanerò nelle montagne mie native. Questo addio da Molfetta mi è duro come l'addio dalla famiglia. O mare, o stelle, lasciate che io mi sazi della vostra vista; dimani, uscendo alla campagna, cercherò invano con gli occhi avidi l'aspetto sacro del mare; voi, o stelle, mi apparirete ancora, ma senza amore, senza sorriso».
Agli appunti delle Memorie risponde il contenuto delle lettere; ecco quest'altra scritta appena giunto a Venosa:

        Mio caro Peppino,
Sono giunto da poche ore, stanchissimo, assiderato, bagnato, ma sano: ti scrivo per dirti che in mezzo alla mia famiglia e nelle braccia di mio padre e di mia sorella sento il bisogno e il desiderio di te, dei tuoi fratelli e di tutta Molfetta.
In casa ho trovato due lettere, l'una tua carissima e l'altra di Corradino non meno cara. Rispondi a Corradino prima che gli risponda io stesso, che l'amo, come uno dei pochi, veri e fedeli amici, che egli sa, e come fratello tuo e parte della tua famiglia. Non iscordartene… Io non posso neanche muovere un braccio per la stanchezza. Per la posta tornerò a scrivere a te, e scriverò agli altri. Scusami presso di tutti e saluta in singolare modo Giacinto Poli, Angelino Fragiacomo, i fratelli Samarelli, i Tortora, i Pansini, i Calò e Gioia e Capelluti e tutti. Bacio i tuoi fratelli e te e sono sempre.
        Di Venosa il 29 settembre 1847.

                Il tuo Luigi

Ibidem
pagg. 6-7


1 Luigi La Vista fu un letterato e patriota campano. Nato a Venosa nel 1826, fece i primi studî nel seminario di Molfetta; nel 1845 passò a Napoli dove divenne uno dei più cari discepoli di F. De Sanctis. Partecipò ai moti del '48 e, dopo la concessione della Costituzione, redasse un proclama. Il 15 maggio 1848 combatté nella guardia nazionale; fatto prigioniero dai borbonici, fu immediatamente fucilato. I suoi scritti storici e letterarî furono pubblicati nel 1863 da P. Villari.
2 Giuseppe Saverio Poli fu un medico e naturalista campano. Nato a Molfetta nel 1746, prof. di fisica al Collegio Medico degli Incurabili a Napoli, viaggiò in diversi paesi d'Europa e raccolse materiale naturalistico costituendo un museo. Pubblicò memorie di fisica, meteorologia, geologia e zoologia, e l'opera descrittiva sui Testacei delle Due Sicilie; scoperse le vescicole interradiali del sistema acquifero degli Echinodermi, che portano il suo nome.

La protesta

Luigi La Vista, fra i discepoli più cari al De Sanctis, in quella giornata, fatto prigioniero dagli Svizzeri, fu da questi fucilato. Il 28 maggio 1848 Francesco De Sanctis, Diomede Marvasi, Pasquale Villari, Angelo Camillo De Meis, Orazio Pansini, Nicola Mazza, Liborio Menichini, Felice Nisio e Giuseppe De Judicibus, in nome di tutti gli amici del La Vista, redassero la seguente Protesta degli amici di Luigi La Vista:

«Nel funesto giorno del 15 maggio periva immaturamente, per la rabbia soldatesca, Luigi La Vista; perdita incalcolabile, irreparabile per la patria, per la libertà, per gli amici; perdita che varrebbe sol essa a rendere per sempre lacrimevole ed orrenda la memoria di quel giorno. Luigi La Vista periva quando egli era già un merito solido e vero, ed una gloria immancabile e sicura, e non gli rimaneva che di mostrarti al mondo, come erasi mostrato ai suoi amici; quando già innanzi a lui si apriva una carriera brillante come il suo ingegno, e tutta piena di successi e di onori. Tutti i compagni che tanto l'amavano, tutti gli amici che lo adoravano, tutti quelli che l'ammiravano, tutti quelli che hanno pianto e che piangeranno ancora lunghissimo tempo la sua acerba morte, come la morte di un diletto fratello, tutti quelli che hanno sentito che questa morte era realmente, e senza esagerazione alcuna, una pubblica sventura, tutti sentiranno il bisogno, il dovere di concorrere e di riunirsi a procurare al suo nome almeno un raggio di quella gloria e di quella fama, a cui egli sarebbe infallibilmente, e fra poco salito. I suoi scritti sono tutti nelle nostre mani; noi ne pubblicheremo quelli che appartengono al periodo del suo ultimo sviluppo intellettuale, e che egli stesso avrebbe riconosciuti per suoi; ma specialmente le Memorie, che, tristamente presago del suo fato, egli andava dettando della sua breve vita, e che riveleranno al mondo tutti i secreti più intimi, e quasi ad uno ad uno i palpiti, che si sono succeduti nel suo santo cuore. La sua bella e cara immagine, ritratta da un valente artista (Saverio Altamura. N.d.A.), fortunatamente è pure nelle nostre mani, e noi cureremo di moltiplicarla col bulino e col marmo: i suoi amici avranno almeno questo conforto, ed amorosamente contemplandola potranno illudersi qualche volta, pensando di non essersi del tutto separati da lui. Lasciando le vane pompe, noi più d'una volta aduneremo i comuni amici, or privatamente, ed or pubblicamente, per ragionare del martire innocente, e saran questi i funerali che egli avrà più accetti e che saran più degni di lui. Infine un monumento attesterà alla nostra patria il nostro comune lutto, e la perdita che in lui essa ha fatto. La nostra vita, come quella di tutti coloro che lo conobbero, sarà quindi innanzi una continua rimembranza di lui e noi vorremmo poterla spender tutta in servire alla sua memoria».

Carlo D'Addosio, In memoriam XXXX anniversario 15 Maggio 1848-15 Maggio 1888 Luigi La Vista, Pierro, Napoli 1888. Sul La Vista vedi pure, oltre il suo Memorie e scritti, cit., il saggio del De Sanctis, L'Ultima ora (maggio 1848), in Francesco De Sanctis, Nuovi Saggi Critici, 2 ed., Morano, Napoli 1879, pp. 353-357.

Vincenzo Marvasi,
«Diomede Marvasi: patriota, scrittore, magistrato»,
Rubbettino Editore srl, 2001,
pagg. 15-16.